MINIMARKET by OBLOQUOR

Lawrence stava seduto dietro il bancone, il caffè era finito e l’orologio segnava le tre del mattino, con una mano si reggeva la testa mentre con l’altra prese l’mp3 che aveva nei jeans. Si infilò gli auricolari, serviva qualcosa per tenersi svegli, schiacciò il tasto play ed il rullante di una batteria che saltava in aria incominciò a fargli a pezzi i timpani: The cat is under the hammer dei Learning English, poesia pura. Fuori dal negozio era ancora notte e non si sarebbe visto nessuno, chi viene alle tre del mattino in un minimarket? Molti dei suoi amici piuttosto che lavorare per un ex barone della droga avrebbero preferito spararsi in testa, a Lawrence però non fregava niente, non perché fosse diverso dagli altri ma aveva una serie di motivi logistici che non gli permettevano di fare altrimenti. Lui era stato un figlio di papà ma non di un papà qualunque, lui era il figlio di Padre Claud, l’uomo a capo della nuova confessione di nostro Signore, il Martin Luthero del Ventunesimo secolo, il fondatore delle leghe per la decenza e l’editore delle uniche vere riviste per i veri fedeli. Insomma il tipo che aveva sbattuto Lawrence fuori di casa alcuni anni fa, certo si era presentato a messa con un bel paio di occhi rossi, fame chimica e movimenti degni di un bradipo ma la situazione era ancora recuperabile.  Accasciarsi a terra durante l’omelia del prete urlando a pieni polmoni, tra un morso e l’altro al foglietto delle letture, non era stato il massimo, farlo poi davanti  le telecamere aveva decisamente peggiorato il tutto.  Suo padre aveva perso la faccia in mondo visione e, come se non bastasse, aveva dovuto abbandonare il posto di comando nella setta che aveva fondato.  Un po’ di quel perdono divino sarebbe servito in quel momento, purtroppo non era era arrivato. Quel perdono non arrivava mai quando serviva, lo aveva imparato a scuola, quando i ragazzi più grandi lo picchiavano perché i loro genitori convertiti si erano trasformati in degli stronzi. Oltre ai pestaggi Lawrence ricordava le aule pulite e perfettamente illuminate dove ragazzini, in piena crisi ormonale, facevano attenzione a non farsi scoprire a guardare le compagne di classe. Quando finì in mezzo alla strada aveva poco più di sedici anni, in TV dicevano che il padre lo aveva mandato a studiare in Europa; le uniche cose vagamente europee che aveva visto in tutta la sua vita erano state la cannabis olandese, la cocaina londinese e l’anfetamina dell’Est Europa. Ora Lawrence fissava con sguardo stanco gli scaffali pieni di riviste per casalinghe disperate e malati di complottismo, si stropicciò gli occhi, il rullo pesante della batteria annunciava la fine della canzone, ora era più sveglio.
 Aveva vent’anni ed era in un centro di disintossicazione quando Abe, il manager della catena di negozi Righteous, lo contattò per offrirgli un posto di lavoro. Avevano scelto il suo profilo tra più di duecento pazienti per dargli la possibilità di reintegrarsi nella società, tutto grazie ai suoi progressi nella disintossicazione. La verità però era un’altra, quando il nome di Abe non era Abe ma Juan, qualcuno gli aveva parlato di un ragazzo che faceva il pusher come nessuno.  Ai tempi per pagarlo dovevi avere la roba più pesante in circolazione, ma ora che si era ripulito era tutta un’altra storia. Ad Abe serviva uno spacciatore con cui lavorare a Lawrence un modo per uscire, non ci misero molto a trovare un accordo. Fu assunto come cassiere per il turno di notte dalle undici e mezza alle sette e mezza, durante il suo turno, che per pura casualità coincideva sempre con un piccolo malfunzionamento delle telecamere, aiutava a risolvere le ultime pratiche burocratiche che Abe aveva ricevuto dal suo capo. Erano passati quattro anni e Lawrence spacciava Ecstasy, rivendendola a tre volte il prezzo di mercato, ai suoi amici alternativi che lo sfottevano mentre lo pagavano. A loro interessava solo poter fare bella figura davanti agli altri e a Lawrence non dispiaceva intascare due terzi del ricavato. Quando non spacciava aveva sempre i soldi per andare ai festival e ai concerti che capitavano in zona, di solito ci andava durante il turno, nessuno si era mai lamentato. Quella sera però Lawrence aveva deciso di rimanere in negozio, non perché avesse voglia di lavorare, nessun individuo sano di mente vuole stare seduto dietro un bancone come un cretino ad aspettare che il turno finisca, ma aveva due costole incrinate ed un ematoma sul ginocchio particolarmente fastidioso. Quella sera l’avrebbe passata a ricostruire cosa era successo al concerto della notte precedente.
I ricordi erano frammenti fumosi che si alternavano nella sua testa senza seguire un ordine logico, ci mise un po’ a riorganizzare tutto ma alla fine riuscì a ricordare: era andato al concerto dei Blasfemik ma qualcosa era andato storto. Il palco, che somigliava ad un altare celtico, aveva preso fuoco mentre gli amplificatori sputavano musica metal e sangue finto sul pubblico. Durante il pogo, tra le urlare per osannare il gruppo o le imprecazioni, si era accorto che una biondina gli stava facendo gli occhi dolci. All’inizio non aveva dato molta importanza alla cosa, ma poi lei si era avvicinata e gli aveva sussurrato qualcosa all’ orecchio. A quel punto, seguendo la ragazza verso i bagni chimici- l’aveva seguito slacciandosi lentamente e discretamente la cintura dei pantaloni- aveva incominciato ad osservarla, indossava degli stivaletti neri con il tacco basso ,un paio di jeans strappati ed una maglietta attillata dei Blasfemik, il nome della band prendeva risalto grazie alla quarta abbondante. Il tutto si stava per concludere in una bella serata passata in buona compagnia con della buona musica di sottofondo. Una volta entrati nel bagno però lei aveva tirato fuori dal tanga la riproduzione 1:1 di quella che sembrava la versione in carne umana della canna di una 44 magnum. Aveva cercato di opporre resistenza ma quell’ermafrodito era più muscoloso di quello che lasciasse intravedere, poi tutto era diventato nero. Lawrence si era svegliato in una tenda del pronto soccorso improvvisata, intorno a lui c’erano un centinaio di persone che urlavano e piangevano.
Poco dopo aver appurato di avere ancora tutti i suoi orifizi intatti, realizzò di essersi messo a sedere sulla brandina dove era stato disteso, uno dei membri dello staff, un uomo grasso sudaticcio e con il riporto, gli spiegò cosa era successo: Il BRHADEN, la mascotte dei Blasfemik, mentre roteava su se stessa durante un assolo, aveva perso uno dei suoi tentacoli a forma di palla da demolizione. Questo, poi, si era andato a schiantare proprio nella zona in cui Lawrence e altri poveri sfigati erano in fila per il cesso, accennò anche al fatto che la sua amica non ce l’aveva fatta e gli indicò la brandina alla sua sinistra, un telo nero copriva il cadavere del transessuale che aveva tentato di abusare di lui. Dopo aver firmato un foglio, in cui dichiarava che non avrebbe fatto causa alla band, qualcuno lo aveva riaccompagnato al suo posto di lavoro prima della fine del turno. Mentre pensava a tutto questo le porte si aprirono ed un vecchietto con i capelli bianchi e impomatati entrò nel negozio, il suo sguardo era penetrante e si muoveva con troppa scioltezza per gli anni che dimostrava. Forse era uno di quei malati di fitness che passano la vita a tenersi in forma e a mangiare sano, le classiche persone che poi scoprono come la vecchiaia arriva per tutti, non importa quante verdure mangi. Indossava un completo elegante nero, l’anello che portava sulla mano sinistra però stonava con il vestito:  un teschio incoronato con due rubini rossi al posto degli occhi. Il vecchio si avvicinò con molta calma agli scaffali delle sigarette, Lawrence ne aveva conosciuti molti così, avrebbe guardato quei pacchetti e avrebbe sorriso pensando agli sfigati in sovrappeso che le fumavano per sfogarsi. Lui non ne aveva bisogno, a lui bastava mettersi la sua tuta attillata, andare in giro e sbattere in faccia a tutti quanto fosse in salute e felice. Il vecchio allungò la mano verso un pacchetto di sigarette e si avvicinò alla cassa con la stessa tranquillità con cui era entrato. Una leggera ombra di disappunto si allungò sul volto di Lawrence, questo non se lo aspettava.
Guardò le sigarette sul bancone, erano “D.O.A” le sigarette più dure e pestilenziali in commercio. Qualche settimana prima, su una di quelle riviste per casalinghe disperate, era apparso un titolo: “DODICENNE ASMATICO SI TOGLIE LA VITA FUMANDO TRE PACCHETTI DI D.O.A. MORBIDE!”. Tutte la associazioni salutiste avevano tentato di farne cessare la produzione: campagne pubblicitarie contro il fumo, scandali riguardanti i dirigenti, blitz degli agenti sanitari e piccole autobombe davanti ai negozi che le vendevano. Non era cambiato niente, il tizio a capo delle D.O.A. era sempre riuscito a cavarsela, le vendite poi aumentavano sempre di più dopo ogni scandalo anche i difensore  della salute più estremi dovettero arrendersi alla fine. Lawrence si era limitato ad apostrofare l’anziano con un “Ehi vecchio, questa roba uccide” il vecchietto con i capelli impomatati gli aveva sorriso in un modo da far gelare il sangue “Ragazzo, io uccido”poi si era messo una sigaretta in bocca ed era uscito dal negozio. Appena fuori una nebbia lo avvolse, prima che la sua figura scomparisse notò un punto più scuro dentro la nebbia, ricordava vagamente la sagoma di uno scheletro. Il primo pensiero di Lawrence fu “Da dove cazzo è uscita la nebbia?” si sentì il suono di una tromba poi i vetri del negozio scoppiarono e lui venne scaraventato via dal bancone. Atterrò sugli scaffali di riviste che aveva davanti e prima di svenire per il dolore, guardò fuori dalle vetrine rotte: erano le tre del mattino, ma fuori il mondo sembrava illuminato come se ci fossero sette soli…
“Il Signore, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo.E prima risorgeranno i morti in Cristo e quindi noi, ancora vivi, saremo rapiti con loro…”
(1 Tessalonicesi 4,16-17)
ILLUSTRAZIONI: bermarte

Commenti

Post più popolari