THE AGENT# 10: AND JUSTICE FOR ALL
Earl si era svegliato con il piede sbagliato quella mattina, le ossa gli facevano male e si sentiva stanco, probabilmente doveva essersi sforzato troppo durante l’ultima missione. Non era stato semplice riprendere il controllo e comportarsi come se nulla fosse ma era la cosa migliore da fare, tenere un profilo basso stavo incominciando a diventare la sua specialità, nel corso dei mesi aveva trasformato tutto questo in una specie di arte. Quando si è in carcere è difficile risultare anonimi, spesso si viene scambiati per delle checca o per degli psicopatici, nessuna delle due cose è augurabile: nel primo caso, se tutto va bene, si finisce in infermeria una volta al mese con il culo rattopato; nel secondo diventi antipatico ai veri psicopatici e raramente si vive abbastanza per raccontarlo. Earl però era veramente anonimo, forse era l’uomo meno conosciuto di tutto il carcere, almeno per quel che riguardava i detenuti, parlava con poche persone e raramente girava da solo per i corridoi del penitenziario. Tutti quelli che lo avevano conosciuto fuori dal carcere sapevano perfettamente come lui non fosse esattamente un tipo socievole, ma a Goldenhope comportarsi come se si avesse una scopa nel culo era la norma. Cooper si limitava a quei pochi contatti necessari per sopravvivere, quando doveva parlare con qualcuno tendeva a stare con persone bianche, raramente c’era posto per qualche ispanico, allo stesso tempo però quando si trattava di stare in gruppo c’era spazio anche per alcuni scambi di battute con qualche detenuto di colore. Provare a fare un discorso del genere fuori dalla prigione sarebbe bastato a farsi etichettare come un razzista, ma non come quelli dei film con le svastiche e libri con il titolo in tedesco, no lui sarebbe passato come uno di quelli che ascolta i Public Enemy ma poi vota repubblicano. Tuttavia al momento si trovava a Goldenhope, comportarsi in questo modo lo rendeva a tutti gli effetti un tizio sopportabile, un detenuto tranquillo e per ultimo ma non meno importante una persona ancora viva.
Quando finisci in carcere non c’è spazio per lotte sociali, sognare un mondo migliore in cui tutti vanno d’amore e d’accordo non solo è irrealistico, ma rischia anche di farti ammazzare. Nel penitenziario di Goldenhope si possono dividere i detenuti in tre gruppi: bianchi, neri e ispanici. Partendo dai i più pericolosi sia i bianchi che i neri hanno uomini legati a bande criminali di una certa importanza, non è raro trovare anche qualcuno legato alla mafia o a gruppi terroristici; gli ispanici, da cui si deve rimanere alla larga, sono invece invischiati tutti quanti con il mondo del narcotraffico. Subito dopo questi bravi ragazzi i tre macro gruppi tendono ad assomigliarsi: killer, psicopatici, ergastolani e condannati a morte non fanno altro che movimentare le giornate dei secondini. Continuando a scendere, si possono trovare tutti quei sottogruppi che si vedono nei film con tanto di tavoli esclusivi a mensa, in fondo a tutto questo marasma ci sono quelli come Earl: criminali da quattro soldi che hanno fatto il passo più lungo della gamba. A Goldenhope lui rappresentava il classico idiota che avrebbe potuto smettere di infrangere la legge per farsi una vita; alcuni di questi individui scoprono la fede, tutti gli altri realizzano di aver messo la mano dentro un tritacarne acceso. Diventare un detenuto negli Stati Uniti significa rimanerlo per sempre, sono pochissimi quelli in grado di accettarlo, chi non lo fa passa il resto della vita ad entrare ed uscire dal carcere, finché non becca l’ergastolo o la pena di morte. Se va bene uno psicologo scriverà un articolo dove analizzerà il tuo caso per provare le sue teorie, questo potrebbe dare alla tua vita un senso; se ti va male qualcuno scrive un libro su di te e sarai l’oggetto di discussione del gruppo di lettura di qualche libreria del cazzo; in caso tutto vada a farsi fottere girano un film o serie TV a te dedicata, centinaia di ragazzini ti prederanno ad esempio, commettendo l’errore più stupido dopo aver iniziato a fumare, mentre altri scriveranno delle fan fiction omosessuali con te come protagonista. Questi erano i pensieri che gli giravano per la testa mentre si trovava al corso di scrittura creativa, anche quella volta non aveva scritto niente ma Annie non lo aveva degnato neanche di uno sguardo: doveva parlarle.
Il corso finì come al solito ed i detenuti uscirono dalla biblioteca, tutti tranne Earl che era rimasto seduto sulla sua sedia. Annie stava mettendo a posto alcuni fogli con tutta calma, il silenzio era interrotto solo dal rumore dei pezzi di carte messi dentro la borsa della donna; Cooper non trovava le parole per rompere il silenzio, si sentiva un coglione, l’assistente intanto stava già per uscire quando l’uomo la chiamò: -Miss Keaton- nessuna risposta -Miss Keaton- questa volta aveva alzato la voce ma lei aveva continuato ad andare verso verso la porta -Annie!- aveva urlato il suo nome facendolo rimbombare in tutta la stanza. La donna si girò con sguardo indifferente -Buon proseguimento Mr. Cooper- aveva detto lei gelida.
-Annie ascoltami veramente devo parlarti- lei fece cadere la borsa a terra e si girò verso l’uomo – E così adesso abbiamo voglia di parlare? È proprio un peccato che io debba andare via, non trovi?- Earl non aveva la più pallida idea di cosa rispondere, ma doveva dire qualcosa – Senti lo so che ho sbagliato però- Annie si avvicinò con passo deciso – Però cosa? Adesso non vogliamo più giocare a fare il principino? Sentiamo cosa hai da dire!-
Cooper non poteva crederci, per la prima volta aveva visto Annie perdere le staffe, gli aveva parlato urlandogli in faccia le sue domande e adesso l’assistente aspettava a braccia conserte guardandolo in cagnesco. Aveva deluso anche lei, del resto cosa ci si poteva aspettare da un carcerato? Un vero uomo avrebbe chiesto scusa per quella scenata e se ne sarebbe andato, ma Earl non aveva le palle per gestire quella situazione – Ma che ne sai tu? Ti hanno mai messo dentro? Non hai la minima idea di cosa si provi a stare qui!- lui faceva sempre così, non aveva la spina dorsale per reggere certe situazioni, e come sempre era esploso vomitando addosso all’altro le prime cose che gli erano passate per la testa.
-Che cosa ne so io? Che cosa ne so io! Tu stai chiedendo a me cosa ne so di stare qui dentro? Mio padre ci è morto qui dentro, era un detenuto, esattamente come te! So benissimo cosa si prova a stare dall’altra parte! So cosa significa non poter avere una vita normale come gli altri! Conosco perfettamente cosa vuol dire non poter essere liberi, e tu vieni a chiedermi che cosa ne so io?-
Se ci fosse stato un modo per cancellarsi dall’esistenza Earl lo avrebbe fatto all’istante, aveva cercato di fare la vittima come sempre, ma questa volta gli era andata male. Non aveva la più pallida idea di cosa dire, tanto meno sapeva cosa poteva fare in una situazione del genere, rimase interdetto per alcuni secondi, poi sentì distintamente uno schiaffo in faccia mentre Annie urlava – Rispondi!-.
Un secondino entrò dentro la biblioteca -Signorina Keaton ci sono problemi?- la donna ansimava leggermente mentre Earl sentiva pulsargli la parte sinistra della faccia, si guardarono negli occhi poi Annie si girò con disinvoltura verso la guardia – No nessun problema, stavo giusto per andarmene- poi si voltò verso di lui -Buon proseguimento Signor Cooper- Earl sentiva come la faccia gli pulsava ancora -Arrivederci signorina Keaton-. Rimase in biblioteca tutto il pomeriggio, il tempo necessario per rendersi conto di quello che era successo: aveva fatto un casino e probabilmente aveva perso anche l’unica persona che aveva cercato di essere gentile con lui. La sera sperò di essere svegliato, forse per una missione, una fuga dal carcere, una rivolta, non importava da cosa ma sperava che qualcuno venisse nella sua cella per dirgli cosa fare. La notte fu tranquilla, l’aria era più fredda e dalla finestra filtrava la luce dei fari delle guardie del turno di notte, non successe niente. Il giorno dopo si alzò dal letto senza aver dormito neanche un secondo e la sua giornata proseguì uguale a quella precedente: allenamento, doccia, mensa, cella, parlare con un paio di detenuti, mensa, dormire. Anche quella notte non successe niente e neanche quella dopo e quella dopo ancora, il tempo scorreva lentamente un millesimo di secondo dopo l’altro e per la prima volta da quando era a Goldenhope si sentì veramente in carcere. Era abituato a non poter fare quello che voleva, non gli dispiaceva quasi più la divisa arancione e i pochi metri quadrati in cui poteva muoversi, ma adesso qualcosa non andava più. Chiese un colloquio con il direttore, gli fu negato, Buster si trovava in vacanza ai Caraibi e non sarebbe tornato fino alla settimana successiva. Earl sentiva di non poter durare così tanto, doveva ottenere un permesso, sarebbe andato bene anche un giorno di libertà vigilata. Gli bastavano ventiquattro ore, una macchina e l’indirizzo di casa di Annie, poi sarebbe tornato indietro senza fare storie, doveva parlarle per chiarire quello che era successo. I secondini incominciarono a notare il suo comportamento bizzarro, considerando il suo stato di detenuto speciale non era così strano ma dato che il direttore non c’era decisero di agire preventivamente: il giorno dopo Earl fu fatto chiamare in infermeria, la scusa era quella di dover eseguire alcune procedure per il suo programma di riabilitazione, una volta dentro però sei uomini lo immobilizzarono per iniettarli alcune dosi di morfina. Tutto il fine settimana lo passò legato ad un lettino in una cella per l’isolamento, quando lo tirarono fuori il direttore Maxuell, appena tornato dalla sua vacanza, si sincerò personalmente delle sue condizioni per poi rispedirlo nella sua cella. Earl era fuori di se, il senso di colpa per quello che era successo con Annie aveva lasciato spazio all’odio e al disprezzo per i secondini che lo avevano seviziato così gratuitamente. Quei bastardi meritavano una lezione e prima poi ci avrebbe pensato ma non quella sera, il Governo infatti aveva di nuovo bisogno di lui e lo fecero estrarre la notte stessa.
Era incazzato e spaventato allo stesso tempo, gli sembrava assurdo l’essere arrivato a tanto per colpa di una donna, Annie si era comportata da stronza, l’assistente sapeva perfettamente che non sarebbe rimasto impassibile davanti un comportamento del genere, questo era giocare sporco. Oppure lo stronzo era lui, forse parlare in quel modo facendo la figura della checca isterica non era stata una buona idea, doveva sfogarsi in qualche modo e probabilmente non era facile neanche per l’assistente. Certo questo non la autorizzava e riversare su di lui quelle che erano le sue frustrazioni, dopo tutto era lui il carcerato, non lei. Earl fermò il suo flusso di coscienza e analizzò, parola per parola, quello che aveva pensato fino a quel momento: era lui che stava facendo lo stronzo, non lei. Annie aveva perso il padre in carcere, lui ci era finito perché con la vita che faceva era solo questione di tempo prima che lo prendessero, certo lo avevano messo dentro per dei reati che non aveva commesso però non poteva definirsi un santo. Chissà com’era stata la vita di Annie senza un padre vicino, lui aveva sempre avuti i genitori, erano dei rompiscatole e gli odiava ma comunque erano sempre stati lì per lui. Keaton non aveva potuto scegliere di odiare i suoi e fare la ribelle, forse era una di quelle ragazzine che quando passava per i corridoi faceva ammutolire tutti, come Austin Ross a cui avevano ucciso il padre in Afganistan dopo che questo aveva iniziato a sparare sulla folla senza motivo. In effetti Austin non era propriamente un ragazzo normale, tutti quei tic nervosi, i vestiti di seconda mano, il patrigno che lo picchiava e quell’orribile berretto verde evidenziatore, cazzo quel berretto era inguardabile. Mentre pensava a tutto questo lo avvisarono di essere arrivati, non se lo fece ripetere due volte, scese dalla macchina senza guardare e sentì il rumore della portiera che grattava su un’altra macchina, Earl constatò come gli agenti avessero parcheggiato. -“Hei che cazzo! Non sai stare più attento, animale?”- Earl vide i due genti fissarlo con sguardo truce -“Scusate, non l’ho fatto apposta, sapete dirmi dove devo andare”- -“Torna alla rotonda e prosegui dritto finché non arrivi vicino al poligono”- aveva abbaiato uno dei due. Il detenuto si allontanò a passo spedito dirigendosi verso il luogo che gli avevano indicato, questa volta l’edificio era molto più piccolo ed anonimo di quelli in cui era stato l’altra volta, anche il modo in cui gli parlarono della missione era stato diverso. Dopo essersi fatto identificare con il suo badge, un tizio tarchiato con poca voglia di lavorare gli aveva fatto cenno di entrare nel suo ufficio e gli aveva spiegato per sommi capi quello che doveva fare, da quello che aveva capito doveva uccidere una specie di avvocato. Come di prassi gli venne consegnata una scatola di cartone con tutta una serie di plichi e documenti da consultare, il Governo era sempre in grado di stupirlo: a volte non ti lasciano da solo neanche per andare al cesso mentre in altri casi ti affidano la sicurezza nazionale come niente.
Entrato ne dormitorio aprì la scatola per leggere il nome del bersaglio, Judy Hill, rimase spaesato per alcuni minuti poi prese il fascicolo ed incominciò a sfogliarlo freneticamente, non trovò quello che cercava. Ritornò sulla scatola ed incominciò a frugare tra i plichi e i fascicoli in modo febbrile, mormorando qualcosa a bassa voce -“Non può essere, devo essere diventato matto”- dopo aver quasi distrutto la scatola trovò una busta contenente le foto del bersaglio, le sparse sul letto ed incominciò a fissarle una per una -“Judy Hill”- disse Earl a denti stretti. Tornò al primo fascicolo cercandolo nel disordine generale, ci mise un po’ a ritrovarlo ma alla fine incominciò a leggerlo con le mani che gli tremavano per l’agitazione: Judy Hill, donna caucasica di cinquantaquattro anni , giudice -“Figlia di puttana!”- urla Cooper lanciando il plico in aria. Non era normale che avesse quella reazione ma Judy non era una persona qualunque, Hill infatti era stata il giudice che lo aveva spedito a Goldenhope. Uccidere il giudice che ti spedisce dentro è il sogno di ogni detenuto che si rispetti, Earl aveva passato mesi a pensare quello che le avrebbe fatto una volta uscito, non avendo ancora un addestramento il tutto si limitava ad atti di vandalismo e simili ma adesso , adesso le cose erano diverse. Ricordava ancora il giorno del processo, Gordon, uno dei membri più importanti della giuria, simpatizzava per lui, gli ricordava suo figlio morto anni prima in un incidente stradale. La cosa era strana oltre che triste, dopotutto Gordon era un afroamericano lui era bianco, ma di lì a poco avrebbe avuto altro di cui preoccuparsi, fu condannato a sei anni e sei mesi di reclusione per possesso di stupefacenti, rissa, resistenza a pubblico ufficiale ed era ancora sospettato di spaccio e di omicidio. In quel momento Earl aveva visto il mondo cadergli addosso, insieme a tutte le raccomandazioni che aveva ricevuto nel corso degli anni, si andava da cose molto semplici come ricordare di lavarsi le mani prima di mangiare allo smettere di drogarsi finché era ancora in tempo. Alla fine la vita gli aveva chiesto il conto e non si era fatta problemi ad aggiungere gli interessi, prima di essere portato via Gordon gli promise che avrebbe fatto di tutto per farlo uscire, non lo rivide mai più. Lui non lo sapeva ma Gordon fu costretto a cambiare stato a poche settimane dalla conclusione del processo, un hacker gli riempì il portatile di video ed immagini pedopornografiche , la notizia uscì anche sul giornale della contea. Gli inquirenti si accorsero subito che c’era qualcosa che non andava e così scoprirono l’attacco hacker senza però riuscire a rintracciare chi lo aveva compiuto. Fu un vero peccato per Gordon, dovette abbandonare il suo posto da insegnante e finì a fare il venditore porta a porta per pagare gli alimenti alla moglie da cui aveva divorziato.
Per prepararsi ad uccidere il bersaglio gli furono date due settimane, doveva fare un lavoro pulito, e passò intere giornate ad assistere classi sugli allarmi e su come disattivarli. Quando non era impegnato a diventare una specie di guastatore doveva sottoporsi a lunghe sessioni sotto le lampade abbronzanti, questa volta la sua copertura sarebbe stata più complessa di un semplice taglio di capelli e dei vestiti dai cowboy. Il Governo voleva sfruttare il coinvolgimento del giudice con una gang di ispanici in contatto con il cartello messicano, i Lobos Kings avevano fatto capire che ci sarebbero state delle ripercussioni se uno dei loro fosse finito in carcere e Judy si era occupata di emettere la condanna. Molto spesso capita di assistere a qualche rappresaglia ma al fresco c’era finito Lando, fratello minore del capo banda dei Kings, lo sceriffo aspettava solo di vedere qualche cittadino freddato da uno dei Lobos per iniziare una rappresaglia in piena regola. Il Governo voleva fornirgli una scusa per farlo e quella scusa sarebbe stata rappresentata da Earl che, da bravo cagnolino quale era, non aveva solo accettato il trattamento abbronzante ma anche di farsi tatuare con il simbolo dei Kings, un lupo incoronato che ulula all’altezza della nuca. Affinché entrasse di più nella parte dovette farsi crescere un ridicolo paio di baffi e frequentare un breve corso di spagnolo, delle volte non avere scelta gli risultava veramente pesante. Avrebbe dovuto ammazzare il bersaglio conciato come un coglione, ma avrebbe fatto questo e altro per far fuori quella puttana di Hill. Ogni giorno leggeva i fascicoli sulla donna per scoprire eventuali particolari che sarebbe potuti tornargli utili, era la prima volta che leggeva per intero i fascicoli che gli fornivano , di solito si fermava alla presentazione del bersaglio e alla spiegazione delle modalità in cui avrebbe dovuto svolgere l’omicidio. Per Judy avrebbe fatto un’eccezione più che volentieri. Avevano scavato nel suo passato senza tralasciare il benché minimo dettaglio, Hill aveva seguito un normale corso di studi all’interno del quale si era distinta per il suo constante impegno al servizio della comunità. I fascicoli erano pieni di associazioni di beneficenza in cui aveva militato, non c’era niente di interessante, neanche una multa per eccesso di velocità o una sgridata per aver fatto tardi a casa. Judy Hill era stata la figlia perfetta, la studentessa perfetta e la cittadina modello, insomma una stronza con una scopa in culo, almeno fino al college, qui aveva conosciuto un certo Tim Dimon , studente di filosofia. I due erano stati insieme per un breve periodo, dalle dichiarazioni di Tim si poteva evincere come i due fossero stati molto intimi, anche in luoghi pubblici, la relazione però terminò pochi mesi dopo, Dimon infatti era stato preso a lavorare come manager per un’industria dell’ambito tech. Incuriosito dalla natura delle dichiarazioni si mise a leggere il fascicolo riguardante l’uomo, per l’ennesima volta lanciò i fogli in un angolo della stanza mentre cercava di mantenere un minimo di autocontrollo. Non lo aveva fatto perché il manager aveva accettato di dire tutto questo per patteggiare riguardo un’accusa di spionaggio industriale, non lo avevano neanche scalfito le foto seminude del giudice Hill ai tempi del college, ma guardando la foto di Tim si poteva notare come lui avesse una faccia uguale ed identica alla sua, se non per i capelli , Dimon li portava molto più corti di Earl.
Cercando di non pensare al probabile motivo per cui si era beccato sei anni e sei mesi di carcere, iniziò a leggere gli altri fascicoli riguardanti la routine della donna. Dalle informazioni raccolte nel corso degli anni, il Governo sapeva che Judy era una persona molto metodica che sottostava ad una routine ferrea, sopratutto la sera: alle otto e mezza cenava, alle nove portava a spasso il suo Yorkshire Terrier, alle dieci e mezza ritornava a casa, faceva una doccia e per le undici era già a letto. Il piano prevedeva che l’omicidio sarebbe dovuto avvenire in casa, ucciderla mentre portava a spasso il cane avrebbe allarmato troppo il vicinato della donna. Lei viveva in un quartiere privato, una grande recinzione sorvegliata costantemente circondava il nutrito complesso di case, si poteva accedere soltanto passando da un posto di blocco che, per la gioia di Earl, era pieno di telecamere. Questa volta però non si doveva preoccupare di dover entrare, all’interno del quartiere aveva un contatto e gli sarebbe bastato domandare di un certo Mr. Twist per convincere le guardie a lasciarlo passare. Una volta dentro si sarebbe dovuto dirigere verso la casa del bersaglio, qui avrebbe dovuto disattivare l’allarme dall’esterno, entrare in casa, occuparsi del cane, procedere con l’eliminazione del giudice e far passare il tutto come se fosse una rapina finita male. Una volta terminata la missione sarebbe uscito dal quartiere per dirigersi alla zona d’estrazione, il piano sembrava semplice ed effettivamente lo era, c’erano troppe cose che sarebbe potute andare storte ma a conti fatti l’unico che ci avrebbe rimesso sarebbe stato lui. Mentre si preparava cercò di distrarsi dall’ennesima missione che metteva in pericolo la sua vita, si guardò allo specchio dopo aver indossato il travestimento ed un leggero sorriso d’approvazione comparve sul suo volto : i capelli tinti di nero erano raccolti all’indietro, la faccia abbronzata sembrava più vecchia ed il paio di baffetti che aveva dovuto farsi crescere suggeriva un qualcosa di ispanico; i vestiti erano vecchi e logori, la camicia verde, rubata a qualche boscaiolo, con le maniche piegate fino ai gomiti stavano proprio bene con i jeans larghi e strappati. Il tatuaggio che aveva dietro al collo era stato sbiadito con una serie di agenti chimici, ogni tanto gli dava fastidio ma non era niente di impossibile da sopportare. Prese il borsone con l’occorrente per la missione e si fece portare sul posto.
La zona d’estrazione si trovava in una vecchio cinema drive-in abbandonato, si trovava a poco più di dieci chilometri dal quartiere del bersaglio e ci sarebbe arrivato a bordo di un furgone bianco. Non capiva esattamente il perché del furgone, ma se quelli del Governo pensavano che così potesse attirare meno attenzione allora doveva essere necessariamente così, eventuali errori gli sarebbero costati la vita e non aveva voglia di morire per quel giudice del cazzo. Arrivò davanti l’entrata, una delle guardie si avvicinò per controllarlo: – Che ci fa uno come te qui a quest’ora?- disse il guardiano con lo sguardo annoiata – Sono un amico di Mr. Twist, sono venuto a trovarlo- l’uomo aveva sorriso in modo sardonico per poi rivolgersi ad uno dei suoi colleghi – Apri il cancello, è un amico di Twist- dopodiché il vigilantes si era allontanato per parlare meglio con i colleghi. Earl vide gli uomini parlare tra di loro a bassa voce, probabilmente stavano scherzando o qualcosa di simile, da come la guardia aveva pronunciato la parola amico aveva già capito che tipo di copertura gli era stata data. Mise in moto il furgone e si diresse verso quella che sarebbe dovuta essere la casa di Twist, parcheggiò il furgone nel vialetto e controllò di avere tutto nel borsone. Qualche minuto dopo vide passare Judy mentre faceva jogging con il cane, stava tornando a casa, Cooper rimase nel veicolo a luci spente e si mise a studiare la situazione: Judy stava rispettando come al solito la sua routine, il cane era particolarmente su di giri e abbaiava a tutti i pochi residenti ancora in giro, a partire da adesso aveva meno di trentacinque minuti per arrivare nella casa dei vicini di Hill ed occuparsi dell’allarme. I vicini del giudice erano anche i suoi affittuari, Judy si era trasferita da poco nel quartiere per motivi di sicurezza a seguito del processo, la casa era una bifamigliare sul modello inglese e, cosa più importante, aveva l’allarme che si attivava nella parte abitata dai vicini che al momento erano in vacanza all’estero. Earl prese il borsone e si diresse sul posto facendo attenzione a non farsi vedere, doveva essere rapido e preciso altrimenti l’operazione sarebbe saltata.
Arrivato davanti la porta blindata della casa non ebbe problemi a scassinarla, la serratura era vecchie e grazie all’addestramento era perfettamente in grado di gestirla. Una volta dentro si buttò immediatamente sulla centralina per renderla inoffensiva, ci vollero un po’ ma alla fine la sistemò. Il sistema d’allarme non gli aveva dato troppi problemi, fortunatamente i vicini puntavano tutto sulla sicurezza continua dei vigilantes e non avevano fatto grandi manutenzioni. Accostò la porta e si preparò mentre aspettava che il bersaglio fosse in posizione. Judy seguì la sua ferrea routine anche per quella sera, alle undici e mezza già non si sentivano più provenire rumori dalla sua stanza. Earl continuò ad aspettare fino alla mezza notte, dalla casa della donna non si sentivano altri suoni se non il cane che mugolava nel piccolo giardino sul retro, prese il passamontagna dal borsone. Sarebbe potuto entrare direttamente dalla porta principale ma per non rischiare decise di usare dei bocconcini avvelenati da rifilare allo Yorkshire, pochi minuti dopo aveva finito di scassinare la morta sul retro con il Terrier esanime nella cuccia. Salì al primo piano dove si trovava la camera della donna e controllò che non ci fossero microfoni, nel mentre si rese conto di come la stanza fosse piena di foto che ritraevano Judy durante tutta la sua vita. Earl cercò trattenne il disgusto davanti a tanto egocentrismo ed estrasse la chiave inglese dal borsone, doveva sembrare una rapina e quella cassaforte nascosta dietro un quadro orrendo non si sarebbe aperta da sola. Avrebbe potuto finirla lentamente, Judy avrebbe sofferto ed urlato fino a farsi sentire da tutto il quartiere prima di morire chiedendo pietà. Sarebbe stato davvero bello potersi permettere un lusso del genere, per qualche attimo fissò la donna: aveva i capelli biondi e corti, se l’era immaginata più magra di quello che appariva sotto le coperte, le rughe stavano incominciando a riempirle il viso struccato che mostrava tutti i segni dell’età che avanzava. Assomigliava a quella zia che si vede alle riunioni di famiglia, la classica parente con cui parla tua madre e che si sorprendere che tu l’abbia dimenticata dato che vi siete incontrati quando tu eri appena nato. Probabilmente lei era quel tipo di zia, ma lui non aveva tempo per queste cose, strinse la chiave di Stillson arrugginita e incominciò a colpirla con violenza partendo dalla testa. Si fermò solo quando riuscire ad intravedere il guanciale del cuscino attraverso il foro che aveva creato nel cranio, spostò il cadavere e si occupò della cassaforte in tutta tranquillità. Era fiero del lavoro che aveva fatto, era riuscito ad ammazzarla senza darle il tempo di urlare e adesso poteva prendersi tutto il tempo del mondo per farsi estrarre, se andava avanti così si sarebbe potuto fare anche un giro.
Purtroppo la cassaforte dietro il quadro gli diede più problemi del previsto, riuscì ad aprirla solo dopo un’ora di lavoro costante e cambiando anche diversi strumenti, aveva perso la pazienza più di una volta durante le varie manovre ma si era trattenuto dall’imprecare ad alta voce. La possibilità di essere scoperto e condannato a morte lo rendeva particolarmente silenzioso, c’erano modi più fighi di morire, come essere ammazzati a poca distanza dal confine con il Messico dopo una caccia all’uomo. Quello sì che era un modo incredibile per andarsene, i giornali avrebbero parlato di lui, probabilmente sarebbe diventato il simbolo di qualche protesta o robe simili, senza contare gli immancabili film e libri che avrebbe ispirato. Poi si ricordò di del pessimo modello che era e di come avrebbero intervistato la sua famiglia e i suoi conoscenti per capire meglio chi era, forse non era una buona idea morire in questo modo. Lo sportello della cassaforte che cigolava mentre si apriva riportò Earl nel mondo reale. Guardò all’interno e trovò alcuni fogli e altre foto, le tirò fuori ed incominciò ad esaminarle velocemente, da quello che gli sembrò di capire erano le lettere e le foto del periodo in cui si frequentava con Tim Dimon. Aveva conservato veramente tutto questo per così tanto tempo? Cooper rimase interdetto, Judy non sembrava quel tipo di donna sentimentale in grado di fare una cosa del genere, l’aveva nascosto proprio a tutti. Neanche il Governo era riuscito ad ipotizzare un comportamento del genere e questo era grave. Hill non era più un semplice bersaglio, non era neanche più la donna per colpa della quale era finito a Goldenhope, lui aveva ucciso una donna che aveva fatto credere a tutti di essere troppo stronza per provare veramente dei sentimenti.
Alcune gocce di sangue macchiarono le lettere e le foto che teneva in mano, fu in quel momento che si rese di essersi imbrattato con i fluidi corporei del giudice. Doveva muoversi da lì e doveva trovare dei nuovi vestiti alla svelta, stava incominciando ad albeggiare quando tornò al furgoncino riuscendo a non farsi scoprire. Appena aprì la portiera vide che sul sedile c’era un bigliettino scritto a mano, la calligrafia era molto curata, “Se ti serve qualcosa entra in casa dal garage, è aperto” il messaggio era firmato Mr. Twist. Con i vestiti grondanti di sangue Earl alzò la saracinesca mentre il sole incominciava a sorgere, non si vedeva nessuno in giro e, una volta dentro casa, decise di farsi una doccia per rendersi più presentabile. Dentro il bagno trovò dei vestiti di ricambio del tutto uguali a quelli che aveva addosso, questa volta però non c’era nessun bigliettino, Mr. Twist aveva pensato proprio a tutto, Earl si mise sotto il getto d’acqua calda. Mentre si asciugava e si rivestiva sentì degli strani rumori, come se qualcuno stesse premendo dei pulsanti, si diede una mossa ed uscì verso il furgoncino bianco per dirigersi alla zona d’estrazione. Prima di mettere in moto trovò un altro bigliettino sul sedile del passeggero “ Grazie per le foto” sempre firmato Mr. Twist, adesso le cose si facevano decisamente inquietanti ed Earl non aveva la minima intenzione di perdere altro tempo.
Tornato alla base apprese di come la polizia avesse trovato il corpo di Judy, gli venne accennato anche di una lettera di ringraziamento da parte dello sceriffo, ma non ebbe tempo di godersi il successo. Dopo aver ricevuto un controllo medico, in cui alcuni dottori si assicurarono delle sue condizioni di salute, venne sottoposto ad un intervento per la rimozione del tatuaggio. Il laser gli arrostì la pelle distruggendo tutti i pigmenti, i giorni successivi non furono molto piacevoli, dopo l’intervento infatti si era formata una crosta sulla zona colpita oltre ad un leggero gonfiore. Passò un’intera settimana ad applicare pomate antibiotiche e creme solari mentre studiava la storia che avrebbe dovuto raccontare in caso gli avessero fatto domande in carcere; secondo la versione ufficiale, questa volta, aveva dovuto svolgere lavori socialmente utili nelle zone vicino l’autostrada, per colpa delle svariate ore sotto il sole aveva la pelle abbronzata, non si faceva il minimo accenno al tatuaggio e Cooper non sarebbe stato così idiota da chiedere spiegazioni.
TESTO: OBLOQUOR
ILLUSTRAZIONE: Ga
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