THE AGENT# 11: VIOLENT BUSINESS

Earl si trovava nella sua cella, era passato qualche giorno da quando era ritornato dalla missione ma non riusciva a rilassarsi come faceva di solito. Il progetto Agent non si sarebbe fatto vivo per un po’ e questo gli avrebbe lasciato del tempo libero, in una situazione normale questo sarebbe bastato a far tirare un sospiro di sollievo a chiunque ma non ad Earl, dopo tutto lui era sempre in carcere e a Goldenhope il tempo era il peggior nemico di tutti. La verità era un’altra ma gli era sempre piaciuto fare il melodrammatico, adesso che a capo del penitenziario c’era Buster poteva scordarsi di essere trattato coni guanti come con Rumb. L’isolamento gli aveva fatto male ma in fin dei conti gli era servito per sfogarsi, il problema adesso rimaneva sempre quello di dover gestire la situazione con Annie e la cosa non lo entusiasmava neanche un po’. Tra poco si sarebbe dovuto alzare per andare all’incontro settimanale di scrittura creativa, avrebbe letto un racconto che avrebbe volentieri evitato di scrivere, poi avrebbe atteso in silenzio fino alla fine per chiedere scusa all’assistente sociale per come si era comportato. In effetti non c’era niente di complicato, si trattava di comportarsi in modo adulto ed affrontare la situazione, peccato che Cooper non fosse quel genere di persona. Lui aveva sempre avuto problemi con il prendersi le proprie responsabilità, come quella volta che diede la colpa al figlio del vicino per aver rotto la finestra del soggiorno; era stato lui a convincerlo a giocare a baseball, ed era sempre colpa sua se aveva rubato una mazza da baseball con cui si era messo a fare pratica in soggiorno. Oppure ancora quella volta in cui lo beccarono ad imbrattare la macchina del professore di chimica, non era colpa sua se aveva pitturato gli interni di quella Pontiac, era il professore che si era dimenticato di chiudere bene la portiera. Qualcosa però gli diceva che, questa volta, non se la sarebbe cavata con tre settimane di punizione o una sospensione, con questo pensiero si diresse verso la biblioteca stropicciando il foglio da cui avrebbe dovuto leggere.
Una volta dentro vide gli altri detenuti disposti in cerchio, era in ritardo, ma il corso non era ancora iniziato. Tutti quanti si chiedevano dove fosse finita Annie, Cooper cercava di guardarsi intorno con aria spaesata, sperava con tutto se stesso che gli altri detenuti non sapessero del suo ultimo colloquio con la donna, altrimenti avrebbe avuto un vero problema con cui avere a che fare. Un silenzio irreale si impadronì della stanza, i detenuti incominciarono a fissarsi tra di loro ed Earl notò come le occhiatacce peggiori fossero rivolte sempre verso di lui, intanto con la mano era già pronto a prendere la sedia per usarla come diversivo in caso di fuga. Keaton entrò con tutta calma mentre parlava con uno dei secondini, i due si guardavano in modo strano o meglio lei lo guardava in modo strano, Rico, era questo il nome con cui la donna si rivolgeva alla guardia, aveva il classico sguardo di chi ha appena puntato la prossima tipa di sbattersi. Annie aveva qualcosa di diverso, sorrideva e si comportava in modo affabile come faceva con loro, ma c’era qualcosa di strano nel suo modo di porsi e la cosa gli dava un certo fastidio. L’assistente li salutò con il suo sorriso d’ordinanza ed il corso poté iniziare, tutti lessero una storia come sempre, Earl ricevette un applauso come sempre, Annie si congratulò con tutti come sempre ed il corso finì, come sempre. Possibile che si fosse dimenticata tutto? Lui manca alcuni incontri e tutto torna normale come prima? Earl aspettò che tutti uscissero dalla biblioteca per avvicinarsi all’assistente : -Annie posso parlarti?- la donna continuò a sistemare i vari fogli lasciati dai detenuti – Ok va bene, capisco di non essermi comportato correttamente nei tuoi confronti ma questa cosa non si ripeterà- l’assistente proseguì sistemandosi i capelli e si diresse verso la porta, appena mise la mano sulla maniglia Copper la trattene per un braccio – Scusa per come mi sono comportato, sono stato un stronzo ma parliamone- Annie sorrise con aria soddisfatta – Ciao Earl, non ti avevo notato- l’espressione da duro che aveva avuto fino a quel momento lasciò spazio ad un più umano sconforto -Dai non fare quella faccia, che melodrammatico!- disse lei ridendo. Con sguardo confuso Earl cercò di capire cosa stava succedendo – Quindi mi perdoni?- Annie sorrise -Diciamo che potrei pensarci, ora devo andare ci vediamo la prossima settimana- le lasciò il braccio e l’assistente aprì la porta, poi si fermò -Comunque bel racconto, oggi ti sei superato- Earl stava per ringraziare ma poi ripensò a quello che Annie gli aveva detto poco prima -Com’è che adesso facciamo anche i complimenti?- Annie sbuffo con espressione stanca -Earl sono in ritardo, ci vediamo la prossima volta- avrebbe voluto seguirla fuori, fare il corridoio e continuare a parlarle fino ad accompagnarla in macchina. Per farlo però avrebbe dovuto infrangere una marea di leggi federali e rischiare che qualche agente gli sparasse, era proprio una merda essere un detenuto.
Il progetto Agent non lo richiamò subito, nel corso dei mesi era stato più fuori che dentro ed il Governo non voleva attirare sguardi indiscreti, questo gli permise di ritornare di nuovo ad immergersi con la realtà del carcere. Goldenhope era un casino, con gli spostamenti attuati dal direttore e i secondini sempre più su di giri si era venuta a creare una vera situazione del cazzo. Un paio di detenuti avevano provato ad evadere ed erano stati uccisi, il contrabbando era stato quasi del tutto eliminato, molti detenuti erano finiti in isolamento e qualche inserviente era stato licenziato. Alcuni uomini del cartello erano stati picchiati e trasferiti nelle celle speciali, questo non era stato gradito da fuori e già si parlava di rappresaglia, i vari gruppi del carcere erano stati scombussolati a seguito dell’irrigidimento da parte delle guardie che usavano sempre di più il manganello. Qualcosa stava per iniziare a muoversi ed Earl non aveva la minima intenzione di averci a che fare, forse avrebbe segnalato la cosa a quelli del Governo, non avrebbe rischiato l’isolamento un’altra per andare a parlare con il direttore. Cercò di distrarsi dedicandosi alle uniche due cose che poteva fare a Goldenhope: allenarsi e andare al corso di scrittura creativa. Ne approfittò per recuperare il rapporto con Annie, all’inizio non fu semplice, l’assistente cercava di mantenere le distanze ma si vedeva come in realtà fosse felice di vedere Earl farsi aventi. Alla fine ritornarono ad una situazione di stabilità, lei incominciava a trattenersi in biblioteca più a lungo con Cooper, a lui non dispiaceva ma faceva fatica a capire che tipo di rapporto avesse con Annie. Il secondino che l’aveva accompagnata quella volta non si era più fatto vedere, questo da un lato lo rendeva felice ma dall’altro era quasi preoccupato che continuassero a vedersi fuori dal lavoro, e così decise di rompere il ghiaccio e di fare qualche domanda alla fine dell’incontro. Quando rimasero soli in biblioteca cercò di prendere il discorso da lontano: – Certo che oggi è proprio una bella giornata, non pensi?- Annie lo guardò stranita -Earl fuori sta piovendo- era andato decisamente troppo lontano, doveva riprendersi -No perché a me piace la pioggia- -Davvero?- -Sì, mi fa pensare- Annie aveva sorriso – E a cosa stavi pensando?- Earl si prese qualche secondo prima di rispondere -Non deve essere facile fare un lavoro come il tuo, insomma prendere, venire qui, stare con dei brutti ceffi come noi e tutto il resto. Immagino che ci si senta un po’ soli- Annie aveva sorriso di nuovo, questa volta con una leggera malinconia -Sì… non è sempre così facile- Earl la squadrò per qualche istante poi proseguì – Poi una bella ragazza come te avrà sicuramente qualcuno da cui tornare no?- l’assistente scosse la testa -No, al momento non c’è nessuno- Earl accennò un sorriso -Andiamo proprio nessuno?- Keaton lo guardo stranita -No…nessuno- -Ne sei proprio sicura? Forse un certo Rico non è proprio nessuno- Annie smise di mettere a posto i vari fogli -Cosa vorresti dire?- Earl si schiarì la voce -Andiamo, lei che arriva in ritardo mentre parla con lui, quel modo di parlare, quel sorriso… deve proprio essere un…- -Amico d’infanzia sposato con un figlio- Earl aveva le parole ancora in gola e diede un colpo di tosse -Beh non ho visto nessun anello, forse non è molto fedele- Annie tornò a rimettere a posto le sue cose sorridendo -Questo dovresti domandarlo a suo marito, non certo a me- -Marito?- -Sì marito, c’è qualcosa di strano?- -Assolutamente no!  Che tardi che è devo proprio andare adesso- Earl si diresse velocemente verso l’uscita -Aspetta, non varrai dirmi che avrai pensato…- -Buon proseguimento signorina Keaton, è stato un incontro fantastico- ed uscì dalla porta con la stessa grazia di un elefante imbizzarrito. Adesso era più tranquillo, non sapeva perché ma era più tranquillo mentre canticchiava il ritornello di Y.M.C.A. .
Venne richiamato dal Governo per partecipare ad un’altra missione, questa volta però lo avrebbero messo alla prova. No si trattava infatti di eseguire l’ennesimo omicidio ma di effettuare un rapimento a scopo intimidatorio, quando glielo accennarono pensava che stessero scherzando ma leggendo i documenti dovette ricredersi. La missione era molto complessa e, come se non bastasse, non si trattava di un normale rapimento, si sarebbe dovuto occupare del figlio di Andrew Logan candidato repubblicano per le elezioni presidenziali. Il bambino era poco più che un neonato e la candidatura di Logan non era stata ancora ufficializzata, dalle informazioni in suo possesso capì che qualcuno a Washington non lo vedeva di buon occhio, questo qualcuno poi aveva anche abbastanza potere da convincere il Governo a mandare uno come lui. La cosa lo sorprendeva, non era il fatto di svolgere un incarico del genere per conto degli Stati Uniti, ma non riusciva a capire il motivo per cui Andrew non potesse neanche azzardarsi a correre per le presidenziali. Aveva quarantadue anni, i capelli castani a spazzola, un passato come militare in Afganistan ed era appena diventato padre di un maschietto. Aveva già avuto alcune esperienze in politica, al momento aveva anche portato a termine il suo secondo mandato come sindaco di Racoonville, una piccola grande cittadina nel Wyoming. Il suo passato era pulito, non faceva uso di sostanze e non evadeva il fisco, non aveva neanche mai tradito la moglie. Mentre continuava a studiare i vari fascicoli sull’uomo che avrebbe dovuto ricattare Earl non poteva che chiedersi una cosa: ma avrà mai vissuto la vita questo qui? Oppure era troppo impegno a seguire le regole per poterselo permettere?
Aveva poco più di tre giorni per portare a termine l’operazione, se non ci fosse riuscito sarebbe stato scaricato e probabilmente consegnato al più vicino posto di polizia. Nei fascicoli non c’era scritto ma Earl immaginava già qualche sconosciuto in giacca e cravatta entrare nella sua cella per sparargli, probabilmente lo avrebbero fatto passare per un suo tentativo di evasione, ma d’altronde cosa poteva aspettarsi era sempre nel progetto Agent. Imparò tutto quello poteva tornargli utile sulla vita del suo piccolo bersaglio e si mise sotto con gli addestramenti, non poteva perdere troppo tempo nel farsi i cazzi degli altri. Questa volta il suo travestimento, se così si poteva chiamare, era quello di un aspirante commesso per un negozio di alimentari, il colloquio era andato male e adesso si godeva gli ultimi giorni a Racoonville prima di tornarsene a casa dai suoi con la coda tra le gambe. Se non avesse dovuto prepararsi in modo così meticoloso avrebbe sicuramente fatto un salto al quartier generale per chiedere spiegazioni, la copertura gli risultava troppo specifica per essere frutto del caso. Era troppo impegnato a studiare i vari piani d’azione per andarsi a lamentare, dopo tutto se sbagliava era sempre lui a rimetterci il collo. Arrivò in città il giorno prima che iniziasse l’operazione, fece un rapido sopralluogo dei posti che gli sarebbero tornati utili nei giorni a seguire e poi decise di andare nella camera che il Governo gli aveva generosamente affittato: un motel da quattro soldi con i muri in cartongesso, i vicini molesti e le donne delle pulizie che non passavano mai. Queste e altre recensioni di questo tipo erano state lasciate dai precedenti inquilini, una coppia di eroinomani in fuga da alcuni spacciatori, sulle pareti dello stabile e sulle porte. A Cooper mancava molto Goldenhope, almeno lì i muri erano in cemento, ripassò il piano d’azione che aveva scelto e settò la sveglia per le cinque e mezza del mattino, aveva una persona da incontrare e certo non voleva fare brutta figura.
Svegliarsi alle cinque e mezza fu un trauma, la sera aveva piovuto e l’umidità era entrata nella sua stanza come se niente fosse, aveva il collo incriccato e la bocca impastata di muco, domani avrebbe avuto sicuramente il raffreddore ed una voce da vecchietta rincoglionita. Si trascinò fuori dal letto, mise qualcosa addosso e si diresse verso la casa di Logan. Una volta arrivato nelle vicinanze della casa del bersaglio entrò in una caffetteria e si mise a fare colazione, pancake e sciroppo d’acero, si andò a sedere vicino la vetrina; incominciò a mangiare la sua colazione come se stesse per vomitare, la verità era che in carcere i pancake se li sognava la notte ma avventarsi sul piatto come se fosse appena uscito dal carcere, oltre a farlo scoprire, non gli sembrava esattamente un’idea geniale. Tra un pancake e l’altro si mise a pensare a tutte le opzioni che aveva scartato per l’operazione, all’inizio infatti aveva optato per introdursi nella casa e rapire il figlio di Logan riproponendo le stesse cose che aveva dovuto fare con il giudice Hill. Poi aveva ci aveva riflettuto meglio una volta letti i documenti sul sistema di sorveglianza della casa, il futuro candidato per la corsa alla presidenza aveva una fitta rete di camere di sorveglianza ed allarmi da far desistere anche il più esperto topo d’appartamento. Era quasi andato in crisi dopo quella scoperta, fortuna che aveva continuato a leggere i fascicoli, se Maometto non va alla montagna allora la montagna va da Maometto, ed essenzialmente era per questo che stava facendo colazione: tra meno di cinque minuti sarebbe passata la babysitter dei Logan per portare il piccolino al parco. Da brava famiglia impegnata i genitori del pargolo non avevano troppo tempo da dedicargli, in compenso avevano fatto una lunga serie di colloqui per affidarlo nelle mani di qualcuno che avrebbe provveduto a dargli tutte le cure e l’amore di cui aveva bisogno per la modica cifra di quindici dollari all’ora.
Per quest’arduo compito era stata scelta la ventisettenne Matilda Price, la donna era stata selezionata grazie al suo curriculum di tutto rispetto, il sorriso solare, un’educazione invidiabile ed una piccola lettera di raccomandazione da parte di un’amica della moglie di Andrew. La babysitter non aveva un passato proprio limpido, il Governo non aveva neanche dovuto smuovere troppo gli addetti ai lavori per trovare qualche scheletro nell’armadio: a dieci anni rompe il ginocchio ad una sua compagna di classe, a tredici viene espulsa per la prima volta da scuola, a sedici scappa di casa per poi tornarci a ventidue raccontando storie assurde riguardo una setta, a ventitré si disintossica e grazie ai genitori si reinserisce nella società. Earl lasciò i soldi e la mancia sul tavolo, Racoonville è uno di quei posti talmente sperduti dove si può ancora fare, vide Matilda con il passeggino, aspettò che la cameriera lo ringraziasse per la mancia ed uscì fuori dalla caffetteria. La sua montagna si muoveva molto lentamente verso il piccolo parco in cui la donna andava sempre, accennò un sorriso, intorno a lui le persone non lo degnavano neanche di uno sguardo, pubblico difficile. Matilda aveva i capelli castani e ricci, il fisico era emaciato abbastanza da poterle contare le costole ma non tanto da poter fare la modella, quando non sfoggiava il suo sorriso d’ordinanza aveva un’espressione spenta con lo sguardo fisso nel vuoto. Era proprio una bella ragazza ma Earl si domandava con impazienza quando sarebbe arrivato quel drogato del suo ragazzo, Price si stava frequentando con un piccolo spacciatore della zona e passava la maggior parte delle passeggiate al parco a casa di lui. Il bambino non dava mai problemi, anestetizzato com’era neanche un uomo adulto sarebbe stato in grado di rimanere sveglio, la babysitter infatti utilizzava alcune gocce di farmaci narcotizzanti che portava sempre con lei da quando era uscita dal centro di disintossicazione. Li pedinò senza troppi problemi, i due non si accorsero di niente e questo deluse molto Earl, quando lo faceva lui quel mestiere non si sarebbe fatto fregare così facilmente, o forse sì.
Il ragazzo di Matilda abitava al settimo piano di un grande palazzo a poca distanza dal parco, il posto non era tra i più raccomandabili, c’erano poche vie di fuga in caso di un blitz da parte della polizia e cosa più importante l’odore di muffa e piscio dei muri penetrava sin dentro le narici come un mattone che sfonda una finestra. Il ragazzo di Price doveva essere protetto sicuramente da qualcuno. Arrivato al quinto piano stava per tirare fuori l’occorrente per scassinare la porta ma con suo immenso stupore trovò la porta blindata accostata, a giudicare dal rumore che sentiva capì che i due stavano scopando. Entrò nell’appartamento senza fare rumore e si stupì di nuovo, il passeggino era proprio davanti la porta con il bambino che dormiva ancora, la babysitter ed il ragazzo stavano facendo le loro cose in camera da letto con la porta chiusa. Cooper si guardò intorno, qualcosa non tornava, non poteva essere così facile. Invece si sbagliava, sul tavolo della piccola cucina trovò alcuni panetti di hashish mentre nel salotto altrettanto piccolo e squallido c’erano poco più che trecento dollari. Earl si trattenne dal fare commenti e prese con se il bambino per uscire dall’appartamento. Dopo tanti anni passati tra spacciatori e criminali di tutte le risme trovava un affronto il solo continuare a stare li dentro. La prima parte del piano era andata bene, aveva il bambino e nessuno sospettava di lui, adesso doveva soltanto disfarsene e avrebbe potuto procedere senza intoppi. Ritornò a casa sua e cambio i vestiti al piccolo, occuparsi di un figlio non doveva essere così difficile, sopratutto quando si svegliava a lui bastava rincarare la dose di narcotizzanti. Sarebbe stato proprio un bravo genitore lui, non si sarebbe fatto infinocchiare da una lettera di raccomandazione del cavolo e sicuramente sarebbe stato tranquillamente in grado di tenere quel bambino per sempre. Questi ed altri pensieri si susseguivano nella testa di Earl mentre lasciava il figlio dei Logan sulle scale di un orfanotrofio dall’altra parte di Racoonville. Lo avrebbero tratto bene, prima di decidere di lasciarlo aveva controllato che cosa si diceva su internet riguardo la Casa del Gesù Abbandonato, non c’erano stati scandali ed il numero di pedofili che gironzolava nei dintorni della struttura era anche al di sotto della media nazionale. Sarebbe stato bene e questa era l’ennesima riprova che aveva tutte le potenzialità per essere un bravo papà.
Approfittò del caso generale che si generò nelle ore immediatamente successive al rapimento per fare un rapido sopralluogo, alcune volanti della polizia si muovevano senza sosta dalla casa dei Logan alla centrale mentre, molto probabilmente, Matilda veniva interrogata. La mobilitazione delle forze dell’ordine era immensa oltre che troppo tempestiva, nella mente di Earl incominciarono ad alternarsi diversi pensieri, non avrebbe dovuto concentrasi sulle centinaia di modi con cui si sarebbe tolto la vita in caso fosse stato catturato ma ripassarli mentalmente lo aiutava a mantenere la calma. Tutti i suoi sforzi adesso dovevano concentrasi sull’aspirante candidato alle presidenziali, era solo questione di tempo prima che incominciassero a setacciare ogni angolo della città e più tempo passava più rischiava di essere scoperto. I suoi obbiettivi al momento erano due: portare avanti la farsa del rapimento senza farsi scoprire ed aspettare che il Governo venisse ad estrarlo. Doveva aspettare due giorni, quando era tornato al motel aveva provveduto ad avvisare di come la missione fosse in procinto di essere compiuta; alla base erano talmente sorpresi che ce la stesse facendo da non aver neanche organizzato un piano d’estrazione. Da un lato questo era un fatto positivo, non capita tutti i giorni di stupide il Governo, ma dall’altra stava rischiando ancora di più il collo perché qualcuno non si era neanche degnato di organizzare un minimo piano d’estrazione. Se ne poteva fare soltanto una ragione, avrebbe dovuto aspettare e mantenere un profilo basso. Cooper non lo sapeva ma mentre lui si preoccupava di come sarebbe tornato a casa, nella centrale di polizia l’interrogatorio di Price forniva agli agenti tutto il necessario per tracciare una mappa degli spostamenti della donna oltre ad un controllo sistematico di tutte le telecamere di videosorveglianza che avrebbero potuto riprenderla durante il tragitto. I primi indizi utili per fare ciò arrivarono agli esperti intorno alle sette di sera, gli ispettori avevano deciso di concedere un piccola pausa di mezz’ora dopo più di quattro ore di interrogatorio.
Earl entrò in una tavola calda per cenare, non era la cosa più sicura da fare ma aveva bisogno di capire che tipo di aria si respirava in città,  e poi l’ultima cosa che vuole fare era rimanere dentro quel fottuto motel. Entrato dentro il Roast Beef per un momento si illuse di essere tornato indietro di dieci anni, l’aria puzza di sudore e detersivo, ai tavoli gruppi più o meno numerosi di persone parlavano del più e del meno mentre il tutto veniva scandito dalla voce del cuoco che comunicava le ordinazioni. Si fece quasi prendere dalla nostalgia, ad uno di quei tavoli una volta ci sarebbe potuto essere anche lui forse anche in buona compagnia, certo con un sacco di gente che finite le superiori non avrebbe più rivisto ma come si era divertito durante quel periodo non si era divertito più. Si sedette al bancone e ordino un doppio cheeseburger con patatine, dopo aver dato l’ordine alla cameriera tese le orecchie per capire meglio la situazione. Non si parlava molto di quello che era successo, i pochi discorsi che sfioravano l’argomento del rapimento li fecero due poliziotti che aspettavano di entrare in servizio. Dalle loro parole sembrava che questa fosse la classica bomba ad orologeria che attira da un momento all’altro l’attenzione di tutti i giornalista, gli agenti se la ridevano per la prima volta avrebbero parlato di Racoonville in televisione. Earl finì il cheeseburger e metà della porzione di patatine, era ancora in vantaggio ma ora doveva assicurarsene. Tornò quasi di corsa nella sua stanza nel motel e tirò fuori dal borsone tutto l’occorrente per intercettare la radio della polizia, durante l’addestramento  aveva passato più ore ad intercettare le frequenze radio che a preparare tutto il resto. Non ci volle molto per sintonizzarsi sulla radio delle forze dell’ordine, tuttavia non ebbe modo di congratularsi con se stesso per il risultato, la centrale aveva appena inviato due agenti per richiedere un mandato di perquisizione dal giudice per le sei del mattino. Dopo aver incrociato alcune riprese avevano individuato un uomo ispanico o di colore e che  probabilmente non era neanche della città. Cooper ebbe quasi un infarto, all’interno del mandato erano stati inseriti tutti i motel della città, compreso il suo, non poteva più rimanere lì.
Erano le quattro di mattina quando Earl sgomberò la sua stanza, aveva passato più di cinque ore ad eliminare tutte le possibili tracce biologiche che aveva lasciato nei due giorni in cui era stato lì. Sapere che da li a poco qualche poliziotto sarebbe potuto arrivare per prenderlo sul fatto lo aveva reso alquanto paranoico, si sbarazzò della maggior parte dell’attrezzatura buttandola nei cassonetti ad almeno cinque chilometri di distanza dal motel. Quando si liberò di tutto quello che non gli era più indispensabile i netturbini avevano appena iniziato a lavorare, prima delle sei tutta quella roba sarebbe finito nella discarica. I problemi però non erano finiti, se fino alla sera prima Racoonville doveva ancora essere travolta dalla notizia del rapimento adesso la cittadina non faceva altro che parlarne. Non c’era una persona che incontrasse per strada che non esprimesse un commento al riguardo, il tutto non faceva altro che aumentare il suo stato di agitazione, doveva trovarsi una nuova base per almeno altre quarantadue ore, dopodiché sarebbero venuti a prenderlo. La polizia aveva organizzato vari posti di blocco che mettevano ancora più in allarme la cittadinanza, l’aria era molto tesa. Tutti sembravano in attesa di qualche notizia, le perquisizioni erano iniziate già da qualche ora quando Earl decise di levarsi dalle strade più trafficate per spostarsi nelle vie parallele. Racoonville non era esattamente grande, ma c’erano abbastanza palazzi che permettevano di stare al riparo da sguardi indiscreti quando ci si allontanava dal centro.
Matilda era appena uscita dalla centrale, l’interrogatorio era durato per un tempo infinito, quando le avevano lasciato fare la sua telefonata aveva informato i genitori dell’accaduto. Sua madre era scoppiata a piangere mentre suo padre, con la sua voce imperiosa e profonda, le aveva detto che doveva solo vergognarsi e di non sperare in un passaggio per tornare a casa, anzi avrebbe dovuto ringraziarli anche solo se le permettevano di ritornare. La confessione che le avevano fatto firmare la incastrava per bene, gli agenti però le avevano assicurato che se avesse collaborato nella cattura dei soci del suo ragazzo non avrebbe avuto problemi. Non voleva finirci in carcere, era sicura che non ne sarebbe mai uscita. Erano passate da poco le dieci del mattino, mentre era ancora in centrale aveva sentito di come fossero in atto già delle perquisizioni in tutta la città. Sperava che il suo ragazzo ce la facesse, un po’ perché a lui ci teneva ed un po’ perché se l’avessero preso avrebbe potuto dire addio alla possibilità di non finire in galera. La sua vita era andata a puttane un’altra volta, non poteva fare più niente, adesso doveva tornare a casa a piedi e cercare di convincere i suoi a darle una mano per l’ennesima volta. Proprio mentre faceva di questi pensieri si sentì trascinata di forza in un vicolo, il suo assalitore la immobilizzò benché lei tentasse di opporre resistenza ma nel giro di poco venne sopraffatta e messa con la testa contro il muro. Avrebbe voluto urlare ma prima che potesse aprire la bocca una voce maschile iniziò a parlare:- Prova ad urlare e ti spezzo il collo, ascoltami e non ti succederà niente- Matilda rispose cercando di mascherare il panico – Se mi tocchi avrai dei problemi seri, mio padre è un ex marine e …- -Se non smetti di sparare stronzate ti ammazzo- la donna ammutolì ed incominciò a piangere – Molto bene, adesso che collabori devi fare una cosa molto importante per me. Se la fai ti prometto che non ti succederà niente- Matilda stava per esplodere – E come potrei fidarmi di- l’uomo le tappò la bocca con la mano – Fai un’altra stronzata e ti ammazzo qui e subito, hai capito?- la donna fece un cenno di assenso -Bene, adesso che ho la tua attenzione devi fare una cosa per me- l’assalitore le infilò un pezzo di carta dentro le tasche dei pantaloni -Devi consegnare questo messaggio ai Logan, e lo devi consegnare oggi se no ti ammazzo. Hai capito!- Matilda si limitò ad un altro cenno di assenso, poi all’improvviso sentì una grossa forza che le premeva sul collo e perse i sensi.
Quando rinvenne le facevano male braccia e testa, il giubbotto che portava era leggermente strappato e aveva qualche difficoltà a respirare. Forse era stata aggredita da uno psicopatico, forse un barbone aveva tentato di scipparla e quello che aveva vissuto era solo un brutto sogno. Controllò le tasche dei jeans e rimase sconvolta, trovò il foglio di cui le aveva parlato chi l’aveva aggredita, non era un sogno era tutto vero e se quello che le era successo era reale allora doveva sbrigarsi a recapitare il messaggio a tutti i costi. Non le importava più niente di quello che avrebbe dovuto fare con la polizia, tanto meno le fregava qualcosa se i suoi l’avessero aiutata anche questa volta. Se non si sbrigava un maniaco poteva spuntare da un momento all’altro e farla fuori. In quel preciso istante,  Price capì come la sua vita le faceva schifo ma non abbastanza per farsi ammazzare. Corse con tutta la forza che aveva in corpo, rischiò di essere investita anche un paio di volte , doveva arrivare a casa dei Logan e doveva arrivarci il prima possibile c’era la sua vita in gioco. Earl ne frattempo seguiva Price a debita distanza tenendosi lontano dalle telecamere che vedeva, non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Dopo essersi assicurato che la donna consegnasse il messaggio si diede da fare con il resto del piano.
Andrew era distrutto, in meno di ventiquattro ore era passato dall’essere l’uomo su cui il partito avrebbe puntato tutto sulle prossime elezioni al padre disperato circondato dagli agenti. La polizia era riuscita ad ottenere un silenzio stampa da parte dei giornalista, dopotutto si parlava sempre del sindaco Logan l’uomo politico più popolare che la città avesse mai visto. Intanto lui aveva passato la notte in bianco, le forze dell’ordine avevano messo a soqquadro la casa, ogni possibile indizio poteva tornare utile. Aveva aperto tutto con tanto di computer e cellulare, non era stato semplice prendere una decisione del genere, in questo modo infatti i suoi possibili futuri avversari politici avrebbero potuto avere accesso a tutta la sua corrispondenza e alle iniziative con cui si sarebbe presentato. Alcuni dei suoi sostenitori nel partito repubblicano avevano cercato di dissuaderlo, per loro avrebbe dovuto occultare tutto quello che riguardava le elezioni prima di chiamare la polizia. La facevano facile loro, dopotutto era la vita di suo figlio che era in gioco, aveva i nervi a fior di pelle e le ore eccessive di veglia si stavano facendo sentire. Un poliziotto entrò nel soggiorno dove Logan cercava di riprendersi, gli disse :- Signore c’è Matilda Price che vorrebbe parlare con lei- Andrew esplose – Che cosa vuole! Non ha già fatto abbastanza?- il poliziotto rimase impassibile – È stata aggredita poco fa, ha detto di avere un messaggio per lei da parte del rapitore, abbiamo già chiamato un’ambulanza. Vuole vederla?- Logan sentì la terra mancargli sotto i piedi – Voglio parlare con lei adesso!- l’agente fece cenno di seguirlo. Il cellulare che aveva avuto in mano fino a quel momento squillò, controllò il display, era una chiamata di lavoro doveva rispondere: – Pronto?- dall’altra parte sentì una voce rauca – Ciao Logan sono io, Peck, ho fatto qualche telefonata a Washington. Non è stato facile ottenere una risposta ma credo di aver trovato l’uomo che fa al caso tuo, arriverà a Racoonville questa sera- Logan aveva le lacrime agli occhi – Peck veramente grazie, che Dio ti benedica- dall’altra parte la voce rauca rise – A me basta che non ti dimentichi questo favore, forza Andrew siamo tutti con te-. In pochi istanti il sindaco di Racoonville era passato dall’essere un uomo spacciato ad avere un’enorme possibilità di rimettere tutto a posto, adesso poteva tornare ad avere fiducia, adesso poteva permettersi di avere una speranza.
TESTOOBLOQUOR
ILLUSTRAZIONEPincio96
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