THE AGENT #2: DEAD MAN SINGING
Earl si svegliò nella sua camera un paio d’ore dopo aver visto il video di presentazione, non ci credeva ancora, aveva toccato il fondo, era finito in carcere e adesso si trovava a fare da cavia per un progetto segreto del governo. La vita, la vita faceva schifo. Ripensò a quella sera al pub quando avrebbe dovuto farla finita ma non era andata come se l’era immaginato, uno dei suoi contatti di quando lavorava per Juan in Texas era riuscito a farsi spedire 20 grammi di Xray, quale modo migliore di finire all’altro mondo? L’Xray è una partita di Speed che ci ha creduto troppo, un paio d’anni prima in Iowa avevano ritrovato il corpo di un tossicodipendente che mostrava tutti i segni tipici di un avvelenamento da radiazioni. Partirono delle indagini che si persero in Pakistan e l’Interpol si limitò a dare la colpa al narcotraffico del Medio Oriente, nulla di più sbagliato; l’Xray nella sua prima versione circolava in Unione Sovietica dai tempi dei primi test nucleari. I soldati dell’Armata Rossa di stanza in Siberia usavano le partite di farmaci contaminati in modo che gli scienziati potessero studiarne gli effetti. Doveva esserci un mercato grosso per questa merda, se no nessuno si spiegherebbe il disastro di Chernobyl, neanche una generazione dopo e la zona era piena di S.T.A.L.K.E.R. strafatti.
Voleva farla finita e quella merda lo avrebbe aiutato, poi scoppiò una rissa e si ritrovò steso a terra con qualche costola incrinata ed un’accusa di omicidio. La morte doveva aver avuto una bella giornata del cazzo per fargli questo scherzetto. Qualcuno bussò alla porta della sua stanza e lo chiamò “Mr. Cooper mi segua, iniziamo subito con la preparazione” era una voce femminile, la stessa della donna dietro il vetro rinforzato che aveva visto appena arrivato. Aprì la porta e notò che lo donna era sola “Devo preoccuparmi che Pinco panco e Panco pinco facciano la loro apparizione infilandomi la testa in un sacchetto come sta mattina? Oppure posso seguire la bella Alice nella tana del bianconiglio?” la donna sorrise in modo cordiale “Molto piacere Mr. Cooper non si preoccupi, saremo soli in questa prima parte della preparazione. Il mio nome è Diana Lee, mi segua adesso o faremo tardi” con riluttanza Earl chiuse la porta alle sue spalle e seguì Diana. I due proseguirono in silenzio abbastanza a lungo da mettere in imbarazzo anche un tipo come Earl, cercò di fare conversazione “Diana come la dea e Lee come il generale Lee, vero?” la donna non lo guardò neanche “No Diana come Diana e Lee come Bruce Lee” “Pubblico difficile” si limitò a mormorare Earl.
La stanza in cui aveva riposato si trovava al sesto piano della struttura, ci era dovuto arrivare a piedi mentre era scortato dai due agenti. Avevano deciso di prendersela comoda, ci misero quindici minuti a salire le scale dato che l’agente Frank, a quanto gli era sembrato di capire dai discorsi dei due, non era d’accordo con il suo collega Brad ,in quanto riteneva impossibile spezzare il collo di un uomo adulto usando esclusivamente pollice ed indice. Durante la discussione, particolarmente accesa, entrambi avevano più volte usato Earl come manichino su cui mimare i vari metodi di strangolamento. Il tutto era anche nei limiti del grottesco sopportabili dal detenuto finché Frank, particolarmente irritato dall’ insistenza del collega non arrivò a strangolare quasi a morte Cooper. L’unico motivo per cui si fermò fu il rumore sordo delle vertebre del carcerato, Frank aveva lasciato immediatamente la presa mentre Earl aveva perso i sensi. Fortunatamente rinvenne poco dopo, mentre apriva gli occhi sentì dell’evenienza di nascondere il suo corpo nella sacca per cadavere di Brad o peggio di ricevere la respirazione bocca a bocca. Dapprima espresse il suo dissenso con la voce mentre era ancora disteso a terra, poi in preda alla disperazione cercò di rimettersi in piedi o di strisciare via prima di essere notato da Brad “Hei Frank guarda si muove ancora!”. Tornarono a discutere riguardo la possibilità di strangolare un uomo usando solo l’indice e il pollice ma sta volta si guardarono bene dall’usare Earl come manichino dimostrativo. Lo lasciarono a da solo appena arrivarono davanti la porta della sua stanza, gli consegnarono la tessera che avrebbe usato come chiave e continuarono con la loro discussione. Earl crollò sul letto dopo aver urtato il comodino, non vedeva un comodino dai tempi dell’università, e si addormentò.
Continuarono a scendere per le scale, Cooper tentò di parlare di nuovo con Diana “Com’ è che in sto posto non avete gli ascensori?” “Siamo in una struttura del governo mica in un Hotel” “E come fate se dovete avvisare qualcuno, prendete le scale ?” Lee rispose stizzita “Nel Ventunesimo secolo esistono i telefoni, ogni camera ne ha uno sul comodino” Earl ricordò di aver fatto cadere il telefono fisso dal comodino quando ci aveva sbattuto “Io probabilmente avrò…” “Lo so” rispose Diana “Mi dispiace” “Si figuri sarà lei a dover risalire fino al sesto piano da solo” “Mi scusi vuole dirmi che il governo degli Stati Uniti con tutti i soldi che ha non riesce a permettersi un metodo più valido per avvisare qualcuno in una sua struttura segreta?” “Non abbiamo neanche la mensa Mr. Cooper, ogni stanza ha un frigo bar contenente cibo liofilizzato con tutti i nutrienti necessari al suo sostentamento, cerchi di non urtare anche quello” Earl guardò di sbieco la sua interlocutrice “Seriamente?” “ Sì Mr. Cooper, anzi prima che me ne dimentichi le dico anche che la sua chiave apre esclusivamente la porta della sua stanza. Inoltre ogni porta, oltre ad essere sigillata ermeticamente, è rinforzata con una piastra interna al titanio, quindi non si faccia venire strane idee come sfondare la porta a spallate” Cooper borbottò a bassa voce “Benvenuti a Disnleynad” “No Mr. Cooper questo è il Paese delle Meraviglie”. Earl avrebbe voluto dire qualcos’altro, ma ormai era convinto che Diana sarebbe stato in grado di sentirlo anche se avesse usato gli ultra suoni. Il suo pensiero era uno e uno solo: che stronza.
Una volta arrivati al pian terreno Diana aprì una porta secondaria e continuarono a scendere sotto terra per svariati metri, non vedendo la fine Earl espresse il suo disappunto “Andiamo non prendermi per il culo, deve pur esserci un ascensore da qualche parte?” la donna si girò per guardalo negli occhi “Non per gli ospiti, e comunque siamo arrivati ”“Dove ha detto di aver lavorato prima di finire qui a fare la segretaria” sospirò Earl mentre camminava “Non l’ho detto, ma sono stata nei posti giusti: Libia, Arabia Saudita, Ucraina e Cuba” “Che ci faceva a Cuba?” chiese incuriosito il detenuto “Lavoravo in una struttura statunitense” “Il McDonald?” domandò sorridendo Cooper “Guantanamo” Earl smise immediatamente di sorridere. Deviarono in un corridoio nel quale risuonavano dei colpi, non era in grado di capire cosa potesse provocarli, ma tutto fu più chiaro quando Diana aprì una tra le innumerevoli porte ai lati: un rumore di spari investì i suoi timpani. Da li a poco la situazione sarebbe peggiorata, c’era una piccola stanza con le pareti in compensato dalle quali proveniva i rumori, alla fine della stanza c’era un’ altra porta Diana la aprì ed invitò Earl a seguirla. Una volta arrivati dall’altra parte il rumore degli sparì ritornò attutito come nel corridoi. Lee chiuse la porta e prese la parola “Molto bene Mr. Cooper sta per iniziare la prima la fase iniziale della preparazione, prego si avvicini al poligono” Diana indicò al detenuto la postazione dalla quale Earl avrebbe dovuto sparare, sopra c’erano una decine di pistole dal diverso calibro ed usura. Il detenuto si avvicinò alla postazione “Fermi tutti” esordi Cooper “Qui ci sono delle armi, può gentilmente spiegarmi cosa mi impedisce di prenderle e spararle?” Diana si avvicinò e lo squadrò con disgusto come solo una donna sa fare, poi rispose alla domanda “La prima cosa che le impedisce di filarsela è la pessima capacità tattica di annunciare i suoi piani al mondo intero. La seconda cosa che le impedisce di scappare è il fatto che le armi siano caricate a salve e terzo, ammesso ma non concesso, che lei riesca a spararmi cosa le fa pensare di non finire come il suo amico la giù” terminò la frase indicando il fondo della stanza dove si sarebbe dovuto trovare il bersaglio, al suo posto penzolava un cadavere. Earl fissava con sguardo attonito l’uomo senza vita davanti a lui: la decomposizione stava facendo il suo corso, doveva essere passato molto tempo, la salma era uno spettacolo raccapricciante. Qua e la dei fori, probabilmente causati da proiettili veri, avevano infierito sul cadavere lasciando fuoriuscire del sangue che si era raggrumato sul vestito.
“Mr. Cooper? Mr. Cooper mi sta ascoltando?” la voce di Diana richiamò Earl dai suoi pensieri “Come scusi?” “Bene, adesso che ho la sua attenzione la prego di mettersi le cuffie, prendere una delle pistole che ha davanti e sparare contro il bersaglio” Earl si girò verso la donna e non ci voleva uno psicologo per capire che fosse sull’orlo di una crisi di nervi “Per quanto andrà avanti tutto questo?” chiese quasi balbettando “Finché non smetterà di tremare come una femminuccia davanti un bersaglio, benvenuto nella tana del bianconiglio Mr. Cooper”. Earl prese lentamente le cuffie e fece per mettersele ma poi le allontanò “Non posso farlo, sento della musica nelle cuffie, la prego deve darmi una mano!” Diana si allontanò con non curanza “Non è impazzito Mr. Cooper, c’è veramente della musica nelle cuffie” “Che musica è?” “Robot Rock dei Daft Punk, è per farla abituare. Tornerò qui tra un paio d’ore a prenderla” detto questo Diana uscì dalla stanza. Earl mise le cuffie nella speranza di tranquillizzarsi, ma minuto dopo minuto il volume non faceva altro che crescere. Allora prese la pistola se la puntò verso la testa, chiuse gli occhi per poi riaprirgli subito dopo, abbassò l’arma e guadò il cadavere. Le pistole forse non erano finte, la persona morta davanti a lui aveva un foro in testa nello stesso punto in cui lui stava per premere il grilletto. Impugnò l’arma e sparò un colpo contro il cadavere giusto per sincerarsi della sua supposizione, una piccola nuvola rosso sangue si dipinse sul muro. Quel tizio e era stato un uomo come lui, come lui avrà sparato un colpo verso un altro corpo e, con tutta probabilità, altri prima di lui avranno sparato un colpo verso il bersaglio prima di piantarsi un proiettile in testa. C’era solo una differenza tra Earl e gli altri: lui non l’avrebbe fatto, lui avrebbe sparato al bersaglio, perché col cazzo che avrebbe permesso a degli stronzi qualunque di sparare al proprio culo putrescente mentre era appeso ad un gancio in un fottuto poligono, nel fottuto nulla, nel fottuto deserto.

Doveva pensare a qualcosa per distrarsi, cercò un momento felice all’interno nella discarica a cielo aperto che era stata la sua vita, l’unico risultato fu quello di incespicare in una serie interminabili di traumi ed occasioni sprecate. La sua mente si rivolse allora verso Diana, non capitava di vedere molte donne in carcere, il detenuto che era in lui incominciò ad accarezzare quella figura dai capelli corti e neri; gli occhi azzurri erano due specchi di ghiaccio, ma quello era l’unico aspetto che risaltasse di Lee, non era una donna attraente, tanto meno si sforzava di essere femminile, se non fosse per quel rossetto rosso che la faceva assomigliare più ad clown che a una donna. La divisa da agente in borghese poi prendeva a calci l’immaginazione: un vestito da uomo addosso ad una donna che sembrava un eroe androgino uscito fuori da un videogame giapponese. Ma lui era un detenuto ed in carcere non si vedono molte donne. Earl premette il grilletto e non sentì partire alcun colpo, guardò il suo bersaglio, era pieno di fori di proiettili, il muro era sta riverniciato completamente di rosso: aveva terminato il caricatore mentre era sovrappensiero.
Stava per prendere un nuova arma per sparare quando la porta dietro di lui si aprì e sentì la voce di Diana “Hei cowboy posa il ferro e vieni a prenderti qualcosa da bere” in quel momento si accorse che la musica nelle cuffie era finita. Earl guardò in cagnesco Diana “Non voglio nulla” la donna lo guardò accennando un sorriso “Allora cosa vuoi fare sentiamo?” “Imparare, insegnami” un’espressione d’approvazione comparve sul volto di Lee “Sai cowboy, di solito quando ci mettono tanto tempo come te gli ospiti si suicidano, e anche quando non lo fanno rimangono traumatizzati. Tu sembri aver capito perché sei qui, bravo cowboy”. Cooper si tolse le cuffie per poi rimettersi a sparare ma venne fermato da Diana “Frena cowboy, le cuffie non le usiamo per decorazione è meglio che te le rimetti, e poi non è quella la postura che devi avere quando sei al poligono”. Nelle settimane seguenti Earl si abituò alla vista di sangue e cadaveri, durante questo periodo la musica nelle cuffie lasciò il posto a dei rumori d’ambiente, come una strada affollata. In seguito sentì solo delle urla registrata di persone che chiedevano pietà. Scoprì che non erano continue solo dopo un paio di giorni, più precisamente quando smise di sparare in modo compulsivo per iniziare a tirare colpi più precisi e letali; il governo aveva pensato proprio a tutto per l’ immersività.
Il resto della sua giornata poteva riassumersi in uno stare rintanato nella sua stanza, gli orari di sonno e veglia erano stati probabilmente cambiati per renderlo più produttivo o cose del genere. In un primo momento aveva accusato il colpo, ma il cibo liofilizzato aveva sopperito ben presto alla stanchezza, oltre ad attutire lo stress derivato dallo stare chiuso per tanto tempo in uno spazio tanto piccolo. Il resto della frustrazione veniva sfogata al poligono, non ci volle molto prima che Earl ritenesse impugnare un’arma l’unico momento valido della giornata. Sapeva esattamente quello che gli stavano facendo, molto lentamente non sarebbe stato diverso da quegli adolescenti psicopatici che prendono una TEC-9 per fare casino a scuola. Aveva accumulato domande su domande da quando era li: perché doveva sparare a dei cadaveri? Perché i cadaveri a cui sparava erano sempre vestiti con una tutta nera? Perché non aveva incontrato nessun’altro ospite della struttura? Perché Diana lo istruiva sul da farsi ogni giorno? C’era una cosa che però aveva imparato e cioè mettere da parte le domande per un bene superiore, non lo Stato, ma la sua salute mentale. Avrebbe pensato a tutto quello che gli stava succedendo una volta fuori da quel posto, ancora non capiva se ne era prigioniero o se rimaneva li perché non avrebbe saputo dove andare una volta tornato in quello che lui si sforzava di chiamare il mondo reale. Alzarsi con la luce dei neon nella sua stanza, fare colazione, aspettare di essere chiamati da Diana, sparare ai cadaveri, tornare in camera, stendersi sul letto, aspettare che la luce si spenga, dormire. Questa era la sua vita.
Stava quasi per abituarsi definitivamente alla sua nuova routine quando Diana lo chiamò prima del previsto “Cooper scendi nella sala del proiettore” “Subito”rispose Earl che lasciò cadere la cornetta del telefono per precipitarsi al pian terreno. Entrato nella sala fu sorpreso di vedere Daina seduta al tavolo con tre grandi faldoni da 80 fogli l’uno “E questo sarebbe?” “Questo, come lo chiami tu, è la tua copertura per le quattro settimane in cui sei rimasto qui” “Come vola il tempo quando ci si diverte eh?” replicò Earl ammiccando “Pretendo che tu sappia tutto quello che c’è scritto qua sopra entro il nostro prossimo incontro” disse Diana fulminandolo con la sguardo “Ma è un sacco di roba!” “Da quello che so, fai parte del gruppo di scrittura creativa del penitenziario di Goldenhope, non è così? Per imparare a scrivere devi sicuramente aver letto qualcosa” “Non posso tornare di sotto a sparare?” neanche Cooper poteva credere a quello che stava dicendo “Certo che puoi tornare di sotto, se non riesci a imparare questa roba per la prossima volta sarai il prossimo bersaglio con cui mi eserciterò” “Pubblico difficile” il pensiero di Earl era uno e uno solo: che stronza.
Tornare a leggere qualcosa dopo aver passato intere settimane a sparare, per quanto meno stimolante, risultò essere il giusto ritorno alla realtà dopo quella spirale di follia. Divorò in un’ora scarsa tutti e tre i faldoni, prendendosi anche qualche licenza sul quello che avrebbe raccontato quando sarebbe tornato al penitenziario; per quanto la storia di base reggesse, puntando sul raccontare come avesse partecipato ad un programma per la creazione di T-shirt, scoprendo diversi spray che potevano avere effetti allucinogeni, non era convinto dalla storia delle persone che aveva incontrato: Jo, un volontario che faceva il venditore porta a porta di detersivi finito dentro per una storia con una minorenne, o Mike, un giovane avvocato Texano con amici potenti che gli avevano evitato la pena di morte dopo aver commesso un omicidio. Non lo convinceva neanche che nel gruppo ci fossero tre donne, e non fosse riuscito a concludere niente con nessuna di loro. Quando propose i cambiamenti a Diana questa rispose con un sonoro ceffone sul muso di Earl, aveva il marmo nelle mani. Cooper si reggeva ancora la faccia mentre tornava chiuso in un bagagliaio a Goldenhope insieme a Frank e Bred, questo poté dirlo basandosi sui discorsi che ascoltò durante il tragitto nel portabagagli.
TESTO: OBLOQUOR
ILLUSTRAZIONE: Marty Ross
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