THE AGENT #3:CHAT ROULET
Earl si sentiva diverso, non era per lo sparare a dei cadaveri o il partecipare ad un progetto governativo dalla dubbia etica, ma qualcosa di molto più profondo. Si sentiva quasi felice, ed il passaggio dalla depressione esistenziale che lo accompagnava da anni, al suo attuale stato di euforia era stato tutto meno che graduale; come quando suo padre accendeva le luci di quell’ammasso di plastica verde che lui chiamava albero di Natale. Andò verso le docce per darsi una ripulita, aveva sudato tutta la notte dopo essere ritornato a Goldenhope, era più arzillo del solito e sapeva che se si fosse visto da fuori sarebbe stato il primo a prendersi a calci. Alcuni detenuti si accorsero del suo cambiamento, grande errore, e subito incominciarono a borbottare tra di loro. Non riusciva a capire perché ma si sentiva sempre più felice mentre si lavava, guardò il suo riflesso sulle mattonelle rese lucide dal getto d’acqua, gli tornarono in mente quei film da adolescenti che guardava in Tv dopo essersi fatto un joint con i suoi amici; non ricordava molto di quel periodo se non che tutti dicevano di scopare ogni giorno. Nulla di troppo strano alla fine, il vero problema era capire in quale linea temporale avvenissero questi amplessi con ragazze senza nome o mamme di amici che ora vivevano in Europa. Earl ai tempi aveva sedici anni e non perse la verginità prima dei ventiquattro. Il detenuto accanto a lui gli passò la saponetta più bagnata del solito e il sapone schizzò immediatamente dalle sue mani verso il centro della stanza. Cooper guardò di nuovo il suo riflesso e pensò “Ben tornato nel mondo reale principessa”. Raccolse la saponetta tra le battute e le risate dei presenti.
Dopo le settimane passate a seguire il programma di reinserimento pensava che non si sarebbe mai riabituato ai ritmi del penitenziario, ma non era andata così male: sveglia alle 7 e mezza, alle 8 in punto era pronto per la doccia e poi colazione. La mattina la dedicava ad allenarsi, da quando era tornato aveva messo su un po’ di muscoli e non aveva la minima intenzione di farli sparire, non perché fosse diventato un amante dell’attività fisica ma Annie Keaton, l’assistente sociale che portava avanti il gruppo di scrittura creativa, lo guardava con più interesse. Sarebbe riuscito a tenersi in forma mentre aspettava di essere richiamo dal governo? Due mesi dopo aveva perso più di metà del tono muscolare, ritornando al fisico da sollevatore di polemiche che lo aveva sempre contraddistinto, Annie smise di guardarlo. In compenso scrisse alcuni dei suoi racconti più efficaci, arrivarono addirittura ad applaudirlo una volta: la storia si chiamava Blue Gun e parlava di un tizio che sparava ad un poliziotto. Il pomeriggio invece leggeva libri dalla biblioteca, ricordava come aveva cercato di avvicinarsi alla fede una volta arrivato a Goldenhope, non era andata molto bene: quasi tutte le bibbie erano state usate come contenitori per armi improvvisate o contrabbando di ogni tipo, dopo l’11 settembre tutte le copie del Corano erano state ritirate mentre la Torah era stata riempita di svastiche e cazzi dai vari membri dell’ Alt-Right del penitenziario. I libri di narrativa però non li toccava nessuno, durante i suoi mesi in carcere recuperò i vari Julse Verne, Conan Doyle, Wilde e Tolstoj. Non aveva avuto problemi, se non per quel bastardo che aveva strappato le pagine finali de “Il cuore rivelatore”, quel tizio doveva bruciare all’inferno.
Le settimane passavano ed il programma di reinserimento era diventato solo un ricordo quando vide la porta della sua cella aprirsi nel pieno della notte, le luci lo accecarono come al solito ma anche se non poteva vedere riconobbe subito le voci: Frank e Brad. I due energumeni li misero l’immancabile sacchetto nero in testa e lo scaraventarono dentro il portabagagli; non avevano ancora smesso di discutere riguardo la tecnica di strangolamento. Il viaggio fu più duro del previsto, se lo ricordava meno pesante e sopratutto meno scomodo. Come se non bastasse il sacchetto che aveva in testa gli impediva di respirare decentemente, quando i due agenti riaprirono il portabagagli, Earl aveva battuto con uno scarto di quindici minuti il record di apnea mondiale.

L’incontro con Diana non fu dei migliori, non appena fece il suo ingresso nella grande sala convegni mostrò il suo disappunto riguardo la sua perdita di tono muscolare in un modo che avrebbe fatto arrossire uno scaricatore di porto. Earl sentì distintamente le risate di Frank e Brad fuori la porta. Dopodiché Lee illustrò al detenuto quella che sarebbe stata la sua routine per le tre settimane successive prima della fantomaticaprova finale. Earl odiava le prove, sopratutto quando si parlava di test, lui non era mai stato in grado di gestire quelle fottute cinque opzioni, finiva sempre per rispondere a caso dopo essersi incartato sulla prima domanda sprecando tutto il tempo. In compenso andava bene alle presentazioni, erano l’unico motivo per cui la sua carriera scolastica alla superiori si era conclusiva positivamente. Nel mentre che pensava tutto questo si accorse che Diana aveva capito come non stesse prestando attenzione; non ascoltò una singola parola delle varie offese, forse verso sua madre o robe del genere, tutta la sua attenzione si focalizzò sul volto della donna: non portava più quell’odioso rossetto.
La prima settimana fu un disastro totale, i suoi risultati al poligono erano peggiori di quando aveva iniziato ed in più adesso doveva fare anche un sequela interminabile di esercizi fisici. Lee era di umore nero ogni volta che lo vedeva, mentre Earl sentiva di essere riuscito a mandare fuori tempo anche il suo ciclo circardiano. La seconda settimana invece i risultati migliorarono sensibilmente, per lo meno al poligono, con la preparazione atletica faceva ancora schifo. L’umore di Diana si addolcì quel tanto che bastava per ricevere un suo consiglio ogni tanto, mentre Cooper sentiva l’acido lattico anche in posti che non credeva di avere. Durante la terza settimana Lee si prese la briga di spiegargli il motivo per il quale si stesse allenando in modo così intenso: da quello che gli era parso di capire, se non superava la prova per lui il programma si chiudeva li e ci sarebbero state delle ripercussioni non proprio piacevoli. La donna si era tenuta sul vago, ma era riuscita a far comprendere a Cooper come fosse nel suo interesse superare la prova. Finita la preparazione iniziarono le due settimane più lunghe che Earl avesse mai avuto modo di vivere nella sua vita: i ritmi serrati tra esercitazioni al poligono ed esercizi a corpo libero con accenni al combattimento lo avevano distrutto. Proprio mentre credeva di morire per la stanchezza Diana lo informò che ora poteva riposarsi dato che sarebbe stato richiamato per sostenere la prova nelle prossime quarantotto ore. Risalì nella sua stanza a passi lenti, non aveva fretta e l’unica cosa gli interessava era stendersi sul letto e dormire fino all’ora della Prova. Stava per entrare nella sua camera quando sentì una delle porte del suo corridoio aprirsi per poi richiudersi subito dopo; rimase interdetto per alcuni secondi, non aveva avuto modo di capire se si trattava di un uomo o di una donna, ma adesso aveva la prova che non era il solo nella struttura.
Cercò di addormentarsi ma senza successo, non faceva altro che rigirarsi nel letto pensando a chi fosse la persona che aveva aperto la porta in corridoio, era un detenuto o uno di quei volontari pronti a servire lo stato fino alla morte? Era uomo o uno donna? Se era donna ci sarebbe potuto scappare qualcosa? E se fosse l’unico uomo del “Programma di Reinserimento” ? Questo spiegherebbe molte cose, come il comportamento ostile di Diana, forse si comportava così perché era attratta da lui oppure era semplicemente una di quelle omosessuali che odiano gli uomini. Il telefono della sua camera lo informò di recarsi al pian terreno immediatamente. Una volta arrivato Diana lo guardò con disprezzo “Mi sembrava di averti detto di dormire cowboy!” “Cosa?” rispose Earl mentre contemplava la vastità delle sue occhiaie riflesse negli occhi della donna “Avanti seguimi e vedi di non fare cazzate” Cooper si limitò ad annuire con la testa. Scesero molti piani più in basso rispetto a dove si trovava il poligono ed entrarono in un enorme palestra all’interno della quale era stato creato un percorso, su un tavolo c’erano delle schede che spiegavano nel dettaglio come eseguire i vari esercizi. Scoprì di avere meno di dieci minuti per portare a termine quello che sembrava un percorso uscito fuori dal film Full Metal Jacket, ma non si scompose, era decisamente più spaventato dalle ripercussioni a cui sarebbe dovuto andare in contro se avesse fallito. Portato a termine il percorso Lee lo accompagnò ad un poligono di tiro con dei bersagli standard. I risultati dovevano essere stati buoni perché Earl venne fatto accomodare in uno stanzino per poco tempo prima di essere riaccompagnato dall’istruttrice in un’ altra stanza, quando uscì vide la donna china su alcune sacche per cadaveri piene, Frank e Brad ripulivano alcuni stanzini più in fondo con un tubo dell’acqua. L’espressione della donna era un misto di delusione e rabbia mentre trascinava le sacche verso i due agenti.
Poi tornò a parlare con Earl “Molto bene Cowboy stammi a sentire, il tuo nome se te lo chiedono e Leo questa è l’unica cosa che puoi dire, se parli di altro sei fottuto, seguimi” il detenuto seguì la donna con sguardo attonito mentre con la mente era fermo a tutti quei corpi dentro le sacche. Questo “Programma di Reinserimento” si faceva sempre più strano, ora tutto stava prendendo una piega molto più inquietante ed assurda, ma Earl sentiva come non era questo il momento di fare certi discorsi. Si limitò a seguire Diana che gli indicò un’altra porta, la aprì aspettandosi il peggio entrando a testa bassa, si accorse di trovarsi in una piccola camera con due divani ed altre cinque persone. La porta dietro di lui si chiuse di scatto sbattendo, solo allora gli altri si accorsero della sua presenza. Il gruppo era composto da tre donne e due uomini. Le donne erano più distanti e non parlavano con nessuno, due erano caucasiche mentre l’altra era di colore. Uno dei due uomini invece non faceva altro che importunarle cercando di avvicinarle in tutti i modi, ripeteva continuamente il suo “nome” , Mike, mentre l’altro con il fisico tarchiato e la carnagione scura sorrideva in modo impacciato ad Earl. Rimasero in quella stanza per un tempo interminabile, cercando di distrarsi si presentò all’uomo tarchiato “Ciao io sono Leo e tu?” l’uomo sobbalzò quasi come se non si aspettasse che Cooper sapesse parlare, poi rispose cercando di darsi un tono “Mi pvesento subito il mio nome è Jo” Cooper cercò di non scoppiare a ridere dopo aver sentito l’erre moscia più marcata della sua vita “Ciao Jo, che ci fai qui?” l’uomo tarchiato rispose accennando un sorriso “Aspetto l’inizio della pvova, sono pvopvio cuvioso di sapeve cosa ci favanno fave” sorrisero entrambi e misero fine a quella conversazione imbarazzante. Poco dopo sentirono il rumore di un ceffone provenire da un angolo della stanza, una delle due donne caucasiche aveva appena avuto un diverbio con Mike “Senti figlio di puttana avvicinati un’altra volta e ti infilo quelle mani nel culo la prossima volta che le allunghi!” l’uomo dai capelli rossi si allontanò lentamente per sedersi sul tavolo, poi guardò verso Earl e Jo facendo l’occhiolino “L’ho conquistata ragazzi”. Prima che la donna potesse replicare una voce chiamò il nome di Mike invitandolo ad uscire fuori dalla stanza da una porta diversa da quella da cui Earl era entrato. Nel giro di poco tempo tutti quanti vennero chiamati e così scoprì il nome delle tre donne: Gwen, che aveva tirato un ceffone a Mike, Samantha, la donna di colore, e l’ultima Charlotte. Earl venne chiamato alla fine, anche lui uscì da una delle tante porte presenti nella stanza. Gli sembrava di trovarsi in una struttura simile a quei programmi giapponesi in cui ,centinaia di concorrenti, si muovono all’interno di strutture labirintiche per trovare un’uscita e vincere il premio. Girò per un quarto d’ora abbondante trovando solo stanze piene di porte con al centro casse vuote, non capiva cosa stesse succedendo. L’unica cosa che sentiva erano dei rumori attuti sui muri, come se qualcuno ci stesse battendo sopra. Ogni cassa era in realtà una custodia per qualche tipo di oggetto: pugnali, tirapugni, mazze e manganelli. Niente di così strano a pensarci, il problema era capire lo scopo delle armi.
Aprì la porta per entrare nell’ennesima stanza aspettandosi la solita cassa aperta, ma al suo interno trovò un cadavere: Charlotte. La salma della donna aveva gli arti mutilati mentre una sostanza biancastra le usciva dalla bocca, evitò di chiedersi cosa fosse: adesso non c’erano più dubbi in cosa consistesse la prova finale. Fece un passo ed urtò col piede un coltello da caccia insanguinato, probabilmente l’arma con cui Charlotte era stata uccisa. Per un attimo cercò di immaginare come si fosse svolto l’omicidio, ma l’unica cosa che riuscì a capire fu che la persona che aveva trasformato la stanza nel retro di un mattatoio. La scena era orribile, Cooper guardava gli occhi vitrei di Charlotte e per un attimo gli sembrò quasi che cercasse di parlare, un rumore sordo accompagnato dal cigolio di una porta che si chiudeva lo riportò alla realtà. Proveniva dalla stanza accanto e non riuscì a frenare l’impulso di dirigersi verso il rumore per capire cosa l’avesse originato: fu un altro pessimo errore. Il corpo di Samantha si stava ancora contorcendo dopo che qualcuno le aveva sparato con un teaser, i segni sul collo gli fecero capire come qualcuno aveva tentato di strangolarla. Il teaser era al centro della stanza, controllò il voltaggio, era un teaser modificato. Earl era quasi un esperto di teasr modificati, all’università il suo compagno di stanza era soprannominato il fulminatore, Tesla per gli amici. Il tipo era un feticista a cui piaceva gingillarsi con l’elettricità, qualsiasi cosa potesse dare una scossa era ben accetta nel suo armadio. Gli aveva raccontato anche di una, discutibile, pratica che aveva provato l’amico di un suo cugino che poi era morto, basata sull’uso dell’elettro shock. Diceva di non averla mai praticata perché troppo pericolosa, però in sei mesi scomparvero due studentesse ed un numero indefinito di prostitute. A metà anno Tesla lasciò la sua stanza in tutta fretta per poi sparire nel nulla, non si ebbero mai più sue notizie.
Infilò il teaser nella tasca dei pantaloni e continuò a girovagare senza meta finché non trovò alcune gocce di sangue per terra, seguì le tracce che lo portarono di stanza in stanza senza un ordine preciso. Molto probabilmente la persona ferita si era fatta prendere dal panico mentre perdeva sangue copiosamente, poi aprì un’ altra porta e vide Jo. La faccia era contratta in una smorfia di dolore, mentre premeva un punto sulla gamba. “Che cazzo ti è successo Jo?” L’uomo tarchiato si accorse di Earl “Leo sei tu? Sia lodato il cielo, povca puttana quello psicopatico di Mike mi ha pveso in pieno!” Earl si avvicinò all’uomo tarchiato “Adesso ti do una mano, poi mi spieghi come è successo” “Sì amico hai vagione, tutta colpa di quella fottuta pistola, fa male cazzo” Cooper si fermò un attimo, la cassa nella stanza era aperta e la sagoma che si intravedeva sembrava appartenere ad un arma da fuoco. Guardò meglio la ferita di Jo, qualcosa non tornava, si gettò a terra rifugiandosi dietro la scatola: un colpo di pistola gli sfiorò la testa. Jo venne centrato in pieno dai dardi del teaser, morì pochi secondi dopo per arresto cardiaco.

Aveva ucciso il suo primo uomo e lo aveva fatto con un teaser, era sconcertato, non si era neanche accorto di come nel tentativo di distrarlo, Jo gli avesse lanciato contro unodei moncherini del cadavere di Charlotte. Aveva preso la mira in automatico e aveva sparato senza neanche accorgersene, si avvicinò al cadavere e prese in mano la pistola con cui Jo aveva cercato di farlo fuori. La fissò, adesso lui era un assassino, anche lui aveva ucciso. Il rimorso per quello che aveva fatto incominciò a corrodergli la mente, prima che potesse formulare un qualche pensiero di senso compiuto si stava già puntando la pistola alla testa mentre piangeva. Una porta si aprì e Mike fece la sua entrata in scena: con una mano trascinava il corpo senza vita di Gwen mentre nell’altra stringeva un tirapugni; la mani e la faccia come il resto dei vestiti erano sporchi di sangue “Che ne dici bello? Mi farai divertire un po’ anche tu?” aveva esordito l’uomo con un sorriso sardonico lasciando la testa del cadavere. Earl prese la mira in automatico, Mike cadde all’indietro con un foro di proiettile in mezzo agli occhi. Una voce annunciò che la prova era finita, e ricevette le indicazioni per uscire dal labirinto di stanze. Una volta fuori vide Diana che lo aspettava con le braccia conserte ed uno strano sguardo, avrebbe detto quasi un misto di sorpresa e rispetto “Li dentro c’era solo un vero assassino e non eri tu, bravo cowboy continui a sorprendermi”. Earl contrasse il viso in quello che doveva sembrare un sorriso e rispose indicando dietro di sé “Pubblico difficile”.

TESTO: OBLOQUOR
ILLUSTRAZIONE: Pincio96
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