THE AGENT#5: ULTIMATE
Al suo risveglio Earl si ritrovò disteso nella sua stanza dentro la struttura in cui si addestrava, il telefono sopra il comodino squillava in modo insopportabile, quando alzò la cornetta sentì la voce di Diana “Cowboy muoviti che oggi facciamo riabilitazione” poi la donna aveva messo giù. Per un attimo si guardò intorno disorientato, qualcosa gli sfuggiva poi ricordò: lo snuff movie, l’arena, Cage e le lamette. Tutto fu chiaro nella mente di Cooper, con estrema difficoltà si mise in piedi e scese al pian terreno. “Cosa non capisci della parola muoviti ?” lo apostrofò Lee appena lo vide “Mi fanno male le ossa e non dovrei fare questi sforzi alla mia età” rispose a mezza bocca Earl, Diana lo guardò di sbieco “Forza vecchietto seguimi, oggi ti devo mettere sotto torchio” il detenuto seguì l’agente sbuffando e lamentandosi per i continui dolori. Alcuni piani più in basso del poligono si trovava un enorme piscina con tanto di spogliatoi, Diana diede una sacca ed una chiave ad Earl “Vedi di non perdere niente perché non ne abbiamo altre” Cooper aggrottò la fronte ed entrò dentro lo spogliatoio. Sulla chiave c’era scritto il numero dell’armadietto, mentre in fondo allo spogliatoio si trovavano alcune cabine dove potersi cambiare. Con riluttanza entrò dentro una di queste ed aprì la sacca, al sui interno trovò: una cuffia nera con sopra il numero sessantanove, un paio di occhialini, un accappatoio nero, ciabatte dello stesso colore ed un costume slip anch’esso nero con lo stesso numero della cuffia sopra. Dentro la cabina c’era uno specchio, Earl si prese qualche minuto per ammirare la sua figura riflessa: non aveva mai avuto degli addominali così definiti.
Con aria spavalda Cooper si tolse l’accappatoio davanti a Lee e fece per buttarsi in piscina quando l’agente richiamò la sua attenzione “Cowboy toglimi una curiosità” Earl si girò e gonfiando il petto notò lo sguardo interrogativo di Diana “Ma prendi gli estrogeni? Te lo chiedo solo per curiosità, non ho mai visto un uomo con il pacco così piccolo” l’uomo rispose con disprezzo “Il fatto che non mi presenti con il durello in mezzo alle gambe non vuol dire che io non abbia un pacco” l’agente l’interruppe “Ok va bene, non voglio sapere perché durante lo sviluppo non ti sono scese le palle, comunque prima di entrare in vasca devi darti una sciacquata”. Earl si avvicinò alle docce evitando di proposito lo sguardo della donna, mentre cercava il modo per aprire l’acqua si rivolse a Diana in tono sprezzante “E comunque l’importante è saperlo usare” Lee rispose aprendo l’acqua da una valvola poco distante “L’importante è avercelo”. Avrebbe voluto rispondere qualcosa ma l’acqua gelato gli fermo le parole in gola togliendoli anche il respiro, Diana indicò sorridente la piscina in cui Earl entrò molto lentamente. Il resto della giornata fu un continuo alternarsi di attrezzi per il galleggiamento e pesi, anzi sopratutto pesi. Alla fine della sessione di terapia riabilitativa non sentiva più dolori e questo non era per niente male, il problema vero stava nel fatto che non sentisse neanche più le ossa, era così incapace di camminare che Diana fu costretta ad accompagnarlo negli spogliatoi. Salendo le scale, rigorosamente da solo perché l’istruttrice si era rifiutata in modo categorico di accompagnarlo, pensò che dopo tutto la sua giornata era finita, non gli restava altro che riposare. Una volta in camera, resosi conto che avrebbe dovuto ripetere quegli esercizi per un’intera settimana non riuscì a prendere sonno rimanendo sveglio per buona parte della notte.
Durante quel periodo cercò di distrarsi il più possibile dalla riabilitazione, gli esercizi erano macchinosi e le continue frecciatine di Diana non lo aiutavano a trovare un equilibrio. Andare in piscina era diventata una seccatura che lo privava di qualsiasi energia, più di una volta era tornato in stanza per buttarsi sul letto e addormentandosi subito dopo senza neanche mangiare il cibo liofilizzato; stava perdendo tono muscolare nonostante gli allenamenti e non poteva prendersela con nessun altro se non con se stesso: durante le riprese avrebbe dovuto stare più attento, avrebbe potuto evitare più di uno strappo o di una costola incrinata se avesse ragionato qualche secondo in più invece che lanciarsi nella mischia. Si era fatto prendere dallo spirito del branco, neanche da adolescente era stato così stupido, tutte quelle persone che affrontavano la morte con leggerezza fregandosene delle conseguenze lo avevano illuso che potesse funzionare davvero. Earl era l’unico stuntman ancora vivo, anzi lui era l’unico attore ancora vivo ad aver preso parte agli scontri dentro l’arena; ogni tanto ci pensava, non tanto per i morti ma per il caldo insopportabile che gli aveva bruciato la faccia, solo quel ricordo rendeva più leggera la sua riabilitazione in piscina.
Entrare in vasca non era mai stato un problema, quando era alle superiori infatti passava dei lunghi ed intensi pomeriggi a case dei suoi nonni durante le vacanze di primavera, non perché gli piacesse essere bagnato o fare sport ma uno suo amico gli aveva parlato di come usare in modo più utile la pompa per il filtraggio dell’acqua. L’unica parola che poteva descrivere quello che provava in quei momenti era: memorabile. Aveva iniziato a sviluppare un vero e proprio rituale per il suo bagno del primo pomeriggio, nessuno badava a lui in quel momento, tutti avevano qualcosa di più importante da fare piuttosto che controllare un ragazzino in piscina. L’unico inconveniente di quella situazione era Trisha Patel, una ragazza della sua stessa età affetta da una grave forma di autismo, ogni volta che Cooper entrava in piscina lei si affacciava alla finestra e con la mano mimava i gesti di Earl sotto l’acqua. Non lo infastidiva più di tanto, in quei momenti i suoi pensieri erano rivolti a ben altro, l’unica cosa che lo metteva un po’ a disagio era il fatto che ogni qual volta che incontrava Trisha alle feste di quartiere lei lo salutava sempre mimando quei gesti. Gli adulti non le davano peso, sapevano tutti qual’era la sua situazione, i ragazzini invece le ridevano in faccia con la loro solita delicatezza; Cooper cercava di guardare altrove ripromettendosi di non andare più a toccarsi in piscina, i suoi buoni propositi si limitavano a quello dato che ogni giorno entrava in vasca come se niente fosse.
A differenza di Earl oggi Trisha era qualcuno, dopo aver scoperto la pittura e l’arte del disegno in ogni sua declinazione, mentre il detenuto stava compiendo la sua riabilitazione in vasca, Trisha stava esponendo per la seconda volta al Moma di New York: i suoi quadri hanno per tema il desiderio sessuale e l’istinto, molti psicologi li stanno studiando per ottenere nuove rivelazioni riguardo l’approccio di soggetti come Trisha alla sfera sessuale. I lavori procedono molto a rilento, del resto le opere di Patel valgano più di un Gauguin o un Picasso. Earl continuò a toccarsi in piscina fino a che un ragazzo che aveva conosciuto qualche sera prima, Florian Bauer, venne ritrovato morto sul fondo della vasca del signor Nowak. Il ragazzo si stava divertendo come faceva Earl tutti i pomeriggi ma a causa di un incidente rimase bloccato sul fondo della vasca, la pompa gli aveva quasi sfilato interamente l’intestino, ma i medici stabilirono come Florian fosse morto solo in seguito per annegamento. L’ultima ed unica volta in cui Cooper parlò con Bauer ,la sera prima del decesso, discussero molto animatamente riguardo le ragazze e l’inutilità di provarci quando bastava andare in piscina a divertirsi. Earl non si fece la doccia per un mese e si avvicinò nuovamente ad una piscina solo quattro anni più tardi; durante le vacanze estive di quell’anno era infatti riuscito a trovare lavoro come tutto fare in un hotel, una sera, mentre si trovava a bordo vasca per rimettere a posto le sdraio dei ragazzini lo spinsero in acqua per gioco: il resto della notte la passò al pronto soccorso con il titolare dell’albergo che lo supplicava in ginocchio di non fargli causa a causa della caviglia slogata.
Dopo la settimana in piscina ritornò ad allenarsi in palestra, i carichi erano minori e questo gli lasciò il tempo di parlare con Diana che nel frattempo doveva essersi stancata di tirargli frecciatine. Un giorno Earl cercò di scoprire il più possibile dalla sua istruttrice ed incominciò a fare domande a raffica a Lee, l’agente dapprima si mostrò molto evasiva ma alla fine riuscì a capire qualcosa di quella donna indecifrabile; a quanto aveva capito non aveva vissuto una grande infanzia, l’unica cosa che sapeva per certo era che Diana doveva essere stata il bersaglio perfetto di una marea di bulli , forse qualche chilo di troppo e un look non proprio accattivante le avevano distrutto l’autostima e avevano rotto qualcosa. Non importa cosa, fatto sta che Diana era stata costretta cambiare, e non si parla di quel tipo di cambiamenti in cui lo sgorbio di turno diventa una modella, Lee era diventato quel tipo di donna che nessun uomo vorrebbe far incazzare: testarda, sicura di sé, esperta di combattimento corpo a corpo e peggio ancora stronza. Dell’allenamento che fece in palestra in quel periodo Earl ricorda in particolare un dialogo, dopo aver preso coraggio e le aveva chiesto “Scusa ma da piccola non ti hanno mai preso in giro?” Diana lo aveva guardato di sbieco e poi aveva risposto “Centinaia di persone ridevano di me una volta” Copper insistette “Mi dispiace” Lee lo guardò dritto negli occhi “ Ora non ridono più tanto” quello sguardo gli aveva fatto gelare il sangue e fu l’ultima volta che provò a conoscere Diana.
Alcuni giorni dopo sarebbe dovuto ritornare a Goldenhope ma ci fu un cambio nei piani, Earl invece avrebbe sostenuto una visita medica per controllare il suo stato di salute. Venne condotto quindi dall’istruttrice ad uno dei piani inferiori, lì si trovava una specie di clinica e venne lasciato ad aspettare il suo turno. Il corridoio in cui si trovava aveva le pareti verdi ed il pavimento ricoperto da uno strato di plastica azzurrina, le luci al neon rendevano il tutto più spento e monotono. Quando arrivarono gli infermieri si era quasi addormentato. Lo fecero entrare in una stanza piena di varie strumentazioni e lo misero sdraiato su un lettino per eseguire alcuni prelievi di sangue, i medici con cui ebbe a che fare gli parlarono di un semplice controllo di routine; qualcosa però non tornava, c’erano troppi strumenti e dopo una serie interminabile di prove da stress fisico ed un cambio continuo di elettrodi attaccati in varie parti del torace e delle gambe venne fatto sdraiare su un altro lettino. Questa volta però venne legato ed un infermiere gli diede uno strano aggeggio che gli impediva di chiudere la bocca, un operatore gli spiegò che stavano per testare una terapia basata su un nuovo stimolante. Gli dissero che poteva stare tranquillo e di non preoccuparsi ma quando vide che nella siringa contenente lo stimolante era presente un liquido verde fluo, Earl non poté fare a meno di agitarsi cercando di divincolarsi in ogni modo: ci vollero sei persone per tenerlo fermo mentre gli iniettavano il contenuto della siringa.
Perse conoscenza e si risvegliò al buio, non riusciva a capire dove poteva trovarsi, i suoi sensi sembravano essersi attuti e per un po’ pensò di essere diventato cieco; provò ad urlare ma dalla sua bocca uscì poco più che un rantolo soffocato, dopodiché si accorse di essere nudo. La paura si impadronì di lui e incominciò a tremare, non sapeva in quale posto dimenticato da Dio si trovasse e non capiva più se fosse immerso nel buio o avesse perso la vista. Provò ad alzarsi constatando come il suo corpo fosse intero, le giunture gli facevano male ed ogni movimento gli costava una fatica immensa ma tastandosi sembrava che tutto fosse al proprio posto. Iniziò a camminare cercando qualcosa a cui appoggiarsi, all’inizio non trovò niente e fu difficile soffocare la disperazione che sempre di più si faceva strada nel suo cervello, ma proprio mentre stava per accasciarsi di nuovo a terra sbatté con la spalla contro qualcosa. Si tirò di nuovo su ed incominciò a toccare la cosa con cui aveva urtato; al tatto sembrava che avesse a che fare con una superficie irregolare, piena di strani rigonfiamenti ed alternarsi di zone lisce e ruvide. Non riuscendo a trovarne i bordi concluse che doveva trattarsi di una specie di parete quindi ricominciò a camminare, questa volta però seguendo la strana superficie. Non sapeva dire da quanto tempo stesse camminando ma il muro, oltre a non avere fine, sembrava avesse vita propria, Earl avrebbe giurato più volte di averlo sentita respirare e curvarsi sotto il suo tocco, ma l’oscurità impediva qualsiasi riscontro visivo di quello che sentiva con le sue mani.
Continuò a brancolare nel buio per un tempo inimmaginabile, solo allora si rese conto di aver riacquistato l’udito; sentiva infatti distintamente il suo respiro affannoso accompagnare i movimenti del corpo. Continuò ad andare avanti finché non sentì i suoi piedi immersi in uno strano liquido, a quel punto Earl trasalì scivolando e bagnandosi interamente; la sostanza era inodore e particolarmente viscosa, non riusciva a ricollegarla a niente che conosceva ma era l’ultimo dei suoi pensieri. Scivolando aveva perso la prese sulla superficie ed ora in preda alla disperazione cercava un punto d’appiglio, dopo molti tentativi andati a vuoto riuscì di nuovo a toccare la parete misteriosa e subito si avvicinò a lei recuperando in parte la calma. Dopo poco constatò come lo strano liquido non gli arrivava oltre le caviglie, riprese la sua marcia: doveva uscire da li a tutti i costi. Continuando a camminare sentiva come il livello della sostanza si alzava sempre di più, la cosa non gli piaceva, ma la parete irregolare era l’unico modo con cui poteva orientarsi e non era disposto a lasciarla, nel frattempo capì di non essere diventato cieco: una strana luce molto fioca incominciò a tratteggiare i contorni del posto in cui si trovava. Si mosse verso la sorgente luminosa e subito si pentì di questa scelta, recuperata la vista davanti i suoi occhi si mostrò uno spettacolo orripilante: il liquido in cui ora era immerso fino al petto era di uno strano grigio tendente al verdognolo, mentre la parete irregolare che aveva seguito con tanta fiducia, non era altro che la minima parte di un enorme arco nero sulla cui superficie potevano distinguersi un’infinità di pieghe e rientranze, quasi come se un essere abominevole di proporzioni colossali lo avesse inghiottito. La paura e la disperazione che logoravano il suo cervello si tramutarono in pura follia quando, ormai terrorizzato e annichilito fin dentro le profondità della sua anima, vide l’enorme struttura respirare e gemere in uno spettacolo raccapricciante ma allo stesso tempo eccezionale. Incominciò a nuotare in modo spasmodico verso la luce, questa delineava sempre di più quelle forme mostruose annientando anche gli ultimi sprazzi di ragione che si ostinavano a contemplare quello spettacolo.
Si svegliò in preda alle convulsioni sopra il lettino dove l’avevano legato, le sue urla riempivano la stanza mentre il personale medico si muoveva freneticamente per visionare e commentare i vari dati ottenuti dai loro rilevamenti. Finita la registrazione, e non appena le convulsioni si fermarono venne riportato nella sua stanza con un’ascensore; disteso sul letto senza energie ed incapace di muoversi Cooper perse nuovamente conoscenza. Si svegliò dentro il carcere, o per lo meno dentro quello che gli sembrava essere il penitenziario di Goldenhope, stava camminando liberamente senza essere scortato dai secondini, questo lo mise in allerta. Le celle erano buie ed apparentemente vuote, le luci andavano e venivano, l’unico suono che sentiva era l’eco dei suoi passi. La situazione era innaturale e non ci volle molto per capire che stesse sognando, probabilmente era uno di quegli incubi che gli capitava di fare ogni tanto; sogni talmente realistici dai quali difficilmente riusciva a svegliarsi, doveva trovare il modo di tornare nel mondo reale, i sogni erano stronzi: come quella volta che sognò di trovarsi in un casinò di Las Vegas, teneva ancora strette tra le mani le chip della sua vincita milionaria quando una squadra della S.W.A.T. fece irruzione per portarlo in una camera a gas. Non era riuscito a dormire per il resto della notte. Già che c’era, per evitare ulteriori problemi che il suo subconscio gli avrebbe generato, si diresse verso la sua cella. Pensava già a quello che sarebbe potuto succedere se non lo avesse fatto: sarebbe stato inseguito dai cani oppure girato un angolo avrebbe trovato il suo culo sulla sedia elettrica? Nulla avrebbe potuto sorprenderlo, tranne quello che vide una volta arrivato a destinazione.
Al posto della porta blindata trovò un vetro rinforzato che dava su una stanza imbottita, non fu tanto questo a scuoterlo quanto vederci dentro un leone; la bestia si muoveva visibilmente arrabbiata dentro lo spazio stretto e ci vollero pochi secondi prima che si accorgesse di lui. L’animale si scaglio contro il vetro scalfendolo appena, Earl pensò di aver visto troppi documentari durante le ore libere e si ripromise di limitarne la visione in futuro. Il sogno era strano, molto particolare e sopra le righe ma decisamente affrontabile, aveva visto di peggio. Stava quasi per allontanarsi quando senti un rumore sordo provenire dal vetro, sulla superficie ora era presente un’enorme crepa quasi come se ci avesse sbattuto un’enorme palla da demolizione; cadde a terra per la paura e sperò con tutto se stesso che il leone smettesse di caricare il vetro, ma la bestia sfondò la protezione lanciandosi subito dopo verso di lui. Scappare era inutile, combattere ancora di più, ma farsi sbranare vivo era qualcosa che avrebbe evitato a qualunque costo. Si difese alla bene e meglio usando molte delle mosse che aveva imparato da Diana durante l’addestramento, non ci volle molto prima che Earl abbandonasse ogni tipo di regola, mossa o posizione per lanciare calci e pugni a casaccio. Con una mano cercò di tirare la criniera dell’animale ma subito Cooper grido per il dolore, per qualche strano motivo la criniera non era composta più da peli ma da enormi aculei che gli si erano conficcati nella carne. Dove finire lì, si alzò in piedi scaraventando l’animale lontano da lui, il sangue colava copiosamente macchiando tutti i vestiti, il leone tornò alla carica ma questa volta Earl gli ruppe il collo come aveva visto fare ad un uomo in un libro dalla biblioteca del carcere. Stramazzarono a terra entrambi ma Cooper era ancora vivo.
Si mise subito in piedi, le luci delle celle si accesero e al loro interno vide comparire altre bestie feroci, ammutolito dalla paura ed incapace di muoversi sentì il suono che annunciava l’apertura delle porte e subito gli animali si avventarono su di lui. Il sogno si fece confuso: un attimo prima un giaguaro peruviano gli stava balzando addosso, mentre quello dopo un gruppo di iene maculate lo stavano assalendo ai fianchi e quello dopo ancora un pitone birmano lo stava stritolando. Stava scappando nel deserto da un gruppo di scorpioni gialli quando dietro di lui sentì un altro rumore: una porta d’emergenza era apparsa dal nulla. Con la sicurezza che solo i sogni sanno dare Earl sapeva che quella era la sua unica via di fuga. Si fermò e subito gli scorpioni lo raggiunsero pungolandolo in modo atroce, gli schiacciò uno alla volta, ed continuò ad avanzare verso la porta: attraversò senza paura strane foreste esotiche e mari immensi, bestie e mostri dalle forme più strane lo attaccavano di continuo, ma niente poteva fermarlo neanche il suo subconscio. Non esitò neanche davanti un minotauro che lo caricò all’improvviso, il suo pelo era marrone mentre gli occhi erano iniettati di sangue, ma Earl ne aveva fin sopra i capelli di animali e mostri: con tutta la forza che aveva in corpo gli strappò gli strappò le corna cui cui evirò l’essere mitologico per poi strangolarla a morte. Era stato un gran bel sogno del cazzo, non ne poteva più ed uscì dalla porta, poi fu il buio.
Si svegliò in un bagno di sudore nella stanza in cui lo avevano spostato, sentì la porta aprirsi: era Diana. “Vedo che sei sveglio” esordì l’istruttrice “Mi hai mentito” disse Earl quasi ringhiando, Lee inarcò un sopracciglio accennando un sorriso malizioso “Non sarà per la storia della visita medica per caso?” Earl proseguì con lo stesso tono “Ce l’avete il cazzo di ascensore” l’agente rimase perplessa per alcuni attimi poi fece spallucce “Non fai parte del personale autorizzato” Earl con uno sforzo provò a mettersi seduto sul letto “Personale autorizzato il cazzo voglio usare il fottuto ascensore!” Diana uscì dalla stanza con noncuranza “Tutto a suo tempo cowboy. Dato che hai fiato per lamentarti l’avrai anche per allenarti, hai quindici minuti per prepararti e venire sotto alla sala pesi” Earl bonfacchiò qualche insulto rivolto all’ascensore e alla madre della donna che subito si fece sentire “Cos’hai detto?” Earl sbiancò “Nulla, pubblico difficile”. Il resto della settimana lo passò ad allenarsi in vista dei prossimi test che il governo aveva in programma, Frank e Brad lo riportarono a Goldenhope al solito modo, questa volta però discutevano riguardo l’uccidere qualcuno con un unico pugno ben assestato sullo sterno; in quell’occasione riscoprì la fede, ma prima di allora aveva pregato Dio con tanta intensità perché i due omaccioni non lo usassero ancora una volta come manichino dimostrativo.
TESTO: OBLOQUOR
ILLUSTRAZIONE: EruannieCaline
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