THE AGENT#6 : HURT
Goldenhope era in grado di fare quello che nessun posto era mai riuscito a fare: isolarlo da se stesso. Non era una persona particolarmente socievole, fin da bambino non era mai stato in grado di stare tranquillo e comportarsi come gli altri, i suoi insegnanti dicevano che crescendo sarebbe cambiato, aveva troppe potenzialità per poter fallire. Sarebbe potuto cadere sì, ma rimanendo sempre in piedi. Arrivata l’adolescenza però le cose non cambiarono, quel sentimento di agitazione ed irrequietezza si trasformò in ansia e paura di vivere; era troppo orgoglioso per rendersi conto dei suoi limiti e rifiutò qualsiasi tipo d’aiuto. Tutto sembrava essere diventato un gioco: lui contro i suoi genitori; lui contro la scuola; lui contro le ragazze; lui contro i suoi amici. Fallita l’esperienza universitaria si calmò per un po’, era ufficialmente passato dalla categoria giovane promessa a uomo qualunque, non successe niente di eclatante ma era stato un brutto colpo non trovarsi più al centro dell’attenzione. I suoi gli proposero di tornare a casa, sarebbero riusciti a sistemarlo in qualche modo: allo sceriffo serviva qualcuno che si occupasse degli archivi, le fabbriche della zona invece stavano cercando nuovi operai da formare; arrivati a questo punto una persona seria sarebbe tornata ed avrebbe tentato di farsi una vita come si deve, una meno seria sarebbe tornata e avrebbe trovato un impiego qualunque aspettando che la cirrosi e il colesterolo facessero il resto del lavoro, un imbecille sarebbe scappato lontano da tutto e da tutti. Earl apparteneva all’ultima categoria. Tornare dai suoi sarebbe stato un insulto verso se stesso, deludendo i sogni del ragazzino emarginato che era stato; lo stesso che si lamentava di come la vita facesse schifo perché nessuno faceva niente, che poi si limitasse a fumare joint di pessima qualità era un altro discorso, ma non si sarebbe ripresentato con la coda fra le gambe.
Quando non sei in grado di fare pace con te stesso l’unica cosa che sei in grado di fare è isolarti, il più grande problema che deriva da questo tipo di atteggiamento non è perdere il rapporto con gli altri ma le informazioni che loro hanno; la diretta conseguenza è che si scopre tutto quanto in ritardo, se mai lo si scopre. Aveva ventitré anni quando imparò una delle lezioni più importanti della vita: il mondo non girava intorno a lui. Stava facendo colazione ad una tavola calda, quando vide due camionisti sghignazzare mentre guardavano nella sua direzione, Earl aveva cercato di mantenere la calma ignorandoli; stava quasi per lanciargli il suo piatto di pancake affogati nello sciroppo quando uno dei due uomini guardò un punto indefinito dietro le sue spalle; si girò di scatto e vide un paio di studenti di fisica parlare dell’effetto doppler gesticolando in modo ridicolo. Copper si rese conto di aver quasi iniziato una rissa perché credeva che due persone stessero ridendo di lui, la cosa lo sconvolse, mai quanto la cameriera che si vide dare una mancia di cinquanta dollari da un cliente che guardava con attonito i suoi pancake. Fu un altro brutto colpo, non tanto per la scoperta in sé ma perché capì di non dovere niente a quel ragazzino strafatto che era stato, sarebbe potuto tornare indietro, qualcuno in città avrebbe parlato del figlio dei Cooper: il ragazzo che era stato fuori per divertirsi ma poi era tornato a casa. Avrebbe trovato un lavoro e forse avrebbe messo su famiglia, una persona seria non se lo sarebbe fatto ripetere due volte, ma Earl non era una persona seria. Quella notte rubò il televisore da un appartamento mentre alcuni suoi colleghi si occupavano del resto dell’abitato, con la sua parte della refurtiva poté permettersi un’ hamburger, due bottiglie d’acqua e alcune dosi di ketamina.
Il carcere sotto questo punto di vista gli aveva fatto bene, nei quattro anni che ci aveva messo ad arrivare a Goldenhope era riuscito a scendere fino al livello di rifiuto umano e, cosa peggiore, sapeva che non poteva dare la colpa a nessuno se non a se stesso. Era lui l’idiota che aveva preferito fare tutto di testa sua ed ora ne pagava le conseguenze. Stava scontando una pena di sei anni per possesso di sostanze stupefacenti, e già questo gli precludeva la quasi totalità del mondo del lavoro, chiunque avrebbe tentato di assumerlo si sarebbe poi informato e avrebbe scoperto come ancora oggi sia sospettato anche di omicidio. Se fosse riuscito a scontare gli anni che gli rimanevano sarebbe finito a fare il barbone, non uno di quei barboni veterani, lui sarebbe stato un barbone e basta. Qualche anno prima di finire dentro aveva visto che degli idioti su internet andavano ai fast food e davano da mangiare ai senzatetto, magari lo facevano ancora. Le alternative erano scappare in Messico o incominciare ad entrare e a uscire fuori dal penitenziario compiendo reati minori, Earl si era ripromesso che se la vita da senzatetto fosse andata male si sarebbe fatto beccare a rubare in un appartamento di qualche liberale, di solito quelli sono contro le armi da fuoco, non avrebbe corso pericoli. I libri che poi prendeva dalla biblioteca lo distraevano anche dal carcere, ne stava leggendo uno di un autore europeo: Saul di Alfieri. Poi aveva ricominciato il progetto Agent e adesso né i libri né il carcere riuscivano a distrarlo da quello che aveva dentro, non riusciva più ad alienarsi, non riusciva più a riposare, non riusciva più a rimanere fermo e tranquillo. Qualcosa si era rotto, incominciò a soffrire di emicrania ed in alcuni momenti giurava addirittura di sentire i pensieri di chiunque si avvicinasse a lui.
Non poteva farci niente, la zona di comfort in cui aveva sguazzato per anni non gli andava più bene, doveva fare qualcosa: variare, cambiare, esplorare. Non si riconosceva più e non aveva la minima idea di come muoversi. Parlare con gli altri detenuti sarebbe stato un suicidio, nessuno la capiva veramente, già veniva considerato come quello strano, ci mancava solo che incominciasse a parlare di voglia di cambiamento e sarebbe finito con un manganello infilato su per il culo. Il direttore Rumb era fuori discussione, da quando era tornato a Goldenhope non aveva più avuto sue notizie e tutta la gestione del penitenziario era ricaduta sulle spalle di Max Buster, svogliatissimo vicedirettore del penitenziario che ricopriva quella posizione solo perché imparentato alla lontana con il governatore. L’unica soluzione decente era parlare con Annie ma sarebbe dovuto scendere a patti con il suo orgoglio. Quel giorno andò andò alla lezione di scrittura creativa come faceva sempre, da un paio di settimane non si presentava più con una storia e non era niente di preoccupante, Earl aveva abituato il suo pubblico alle assenze, non voleva diventare il tipo che scrive robe ma l’artista che quando parla viene ascoltato in silenzio. Erano tutti eccitati quando leggeva qualcosa ma la delusione quando lo vedevano senza un foglietto stropicciato in mano era un’iniezione di autostima; si sentiva apprezzato, come se fosse qualcuno di importante o addirittura fondamentale. L’unica persona che lo continuava a fissare quando non leggeva era Annie, l’assistente sociale accigliava leggermente lo sguardo in quelle occasioni, niente di troppo palese ma Earl si sentiva quasi messo sotto uno scanner le poche volte che ne incrociava lo sguardo; la cosa lo metteva e disagio, tutto quello gli ricordava la scuola e non voleva sentirsi sotto esame ogni volta che la guardava. Il tutto si risolveva alcuni incontri dopo con lui che si presentava con un pacco più o meno voluminoso di fogli .
Finito il corso di scrittura creativa si avvicinò all’assistente sociale “Mi scusi signorina Keaton, potrei farle una domanda?” la donna guardò Earl negli occhi poi sorrise “Anche due Earl e non essere così formale chiamami pure Annie” Cooper cercò di darsi un tono “Ehm…stavo dicendo…beh c’è un piccolo problema di cui…” “Che tipo di problema” lo incalzò lei gentilmente “No no… non è un problema mio ma… di un mio amico” Annie sorrise in modo affabile e malizioso “Che cosa gentile da parte tua preoccuparti per un altro paziente del penitenziario” Cooper era nel caos più totale, cercando di non balbettare riprese la parola “Sì sì, volevo chiederle se la prossima volta potessimo parlare qualche minuto…dei problemi di questo mio amico intendo” Keaton guardò l’orologio ed assunse un’espressione pensierosa poi rispose “Dovrei avere un po’ di tempo adesso, se vuoi possiamo iniziarne a parlare ora”. L’uomo non aveva la minima idea di cosa dover dire, nella sua testa si sarebbe dovuto svolgere tutto in modo diverso: tanto per incominciare si sarebbe dovuto avvicinare tranquillamente verso la donna, poi le avrebbe chiesto in modo educato ma deciso se la prossima volta avrebbero potuto parlare per alcuni minuti, una volta ricevuto il sì se ne sarebbe andato aspettando fino al prossimo incontro. Inutile dire come il detenuto fosse nel panico più totale, cercava in tutti i modi di perdere tempo e rimandare il loro discorso senza sembrare il perfetto idiota che era. Annie incominciò a fare domande in modo delicato su quelli che erano i problemi tipici di un detenuto come: autolesionismo, psicosi, disturbi della personalità e depressione. Lui si limitò a rispondere con monosillabi e movimenti della testa, la situazione stava degenerando quando un secondino fece il suo ingresso in biblioteca “Signorina le chiedo di spostare gentilmente la sua macchina, ci hanno avvisato che stanno per arrivare nuovi ospiti e vorremmo sgomberare la zona prima del loro arrivo” Annie si rivolse ad Earl con un’espressione triste “ Parleremo la prossima volta se per te non è un problema” Cooper annui come un ebete e fisso l’assistente sociale mentre lasciava la stanza. Per il resto della giornata cercò di resistere alla tentazione di prendersi a calci, non faceva una figura del genere da quando stava alle superiori; quella notte, ormai preda dell’insonnia, fu quasi felice di vedere Frank e Brad entrare nella sua cella verso le tre del mattino.
Una volta arrivato alla struttura fu accolto da Diana, diventata sempre più indifferente alla sua presenza, non c’era più spazio per gli insulti, le frecciatine erano ridotte ad un paio di frase sibilate a mezza bocca ed il volto sembrava una maschera di cera inespressiva. Dopo poco più di una settimana di allenamenti tra palestra, vasche e intense sessioni al poligono Earl incominciò a notare di aver iniziato ad ingrassare; fu proprio in quell’occasioni che arrivò quasi ad insultare apertamente la sua istruttrice: sceso come suo solito in palestra, prima di iniziare i suoi esercizi, aveva provato a parlare con lei “Prima di iniziare posso chiederti una cosa?” Lee si era limitata a fare spallucce “Sto iniziando a mettere peso e mi chiedevo se la cosa fosse normale, mi alleno come faccio sempre” la donna aveva risposto a mezza bocca “Le razioni liofilizzate nella tua stanza sono ipercaloriche, non perdere altro tempo e mettiti a lavoro” Cooper aveva cercato di essere il più educato possibile, dopo una settimana passata a vedere Diana che lo guardava con aria di sufficienza lo aveva fatto imbestialire, cercò di darsi un tono per sembrare il più calmo possibile “Allora st…signora istruttrice si può sapere perché quello schifo liofilizzato che mi avete messo in camera ora è anche ipercalorico?” Diana lo aveva guardato negli occhi per un paio di secondi e, con tutta la calma del mondo, aveva risposto “Nel prossimo test valuteremo le tue capacità di sopravvivenza, nella stanza accanto trovi alcuni manuali ed ogni tipo di attrezzo utile” il detenuto con un espressione tra lo stupito e l’arrabbiato domandò di nuovo “E per quale assurdo motivo non me lo hai detto prima?” l’agente rispose con indifferenza “Cowboy è un po’ che ti stiamo preparando, è arrivato il momento di crescere ed imparare a camminare. Hai due settimane di tempo per prepararti e fossi in te mi darei da fare” con sguardo truce Earl si diresse nella stanza accanto con un unico pensiero nella testa: che stronza.
Nel tempo rimasto in preparazione alla prova Cooper cercò di dare il meglio di se nei primi giorni, la preparazione per il test infatti era totalmente autonoma, l’unica cosa che gli ricordava di far parte di un progetto governativo era il ricevere la sveglia con una telefonata da parte di Diana. Per un approccio ottimale alla sopravvivenza Earl scoprì come c’erano tantissimi fattori da prendere in considerazione, cominciando da quelli individuali sapeva già come non essendo né un vecchio né un bambino aveva già qualche possibilità in più di farcela; era un uomo oramai robusto e con una certa resistenza, tutte cose che avrebbero potuto aiutarlo. I problemi arrivavano dopo: la sua preparazione era sotto lo zero assoluto, da bambino aveva provato ad entrare nei boyscout ma la prima sera l’avevano rispedito a casa con un calcio in culo, dare fuoco al bavero di un capo scout che solo per puro miracolo non rimase ustionato a vita, non era stata una buona idea. In compenso l’uomo si tolse la vita un anno più tardi, incapace di superare il trauma aveva infatti sviluppato manie autolesionistiche dovute alla psicosi. Altri grandi interrogativi rimanevano la sua volontà di sopravvivere che, come ogni carcerato nella media, era ridotta al limite, ma sopratutto la sua condizione fisica durante il periodo di sopravvivenza; spesso ci si ritrova in questo tipo di situazioni dopo un enorme disastro come un naufragio o robe del genere, il progetto Agent gli aveva fatto già troppe sorprese e non c’era da stare tranquilli. In preda a l’ansia generale si mise a leggere libri sul camouflage nella speranza di trovare rassicurazioni. Finita di leggere l’introduzione del primo libro che aveva preso in mano, sfogliò febbrilmente le pagine nella speranza di trovare qualcosa che confutasse quello aveva appena letto: per un camuffamento ideale bisogna conoscere al meglio la zona e la stagione in cui ci si sta per muovere. Dopo questa frase Earl si limitò a disperarsi mangiando cibo liofilizzato fino a due giorni prima della partenza, allora gli venne comunicato che il test si sarebbe svolto in Montana e che si sarebbe dovuto preparare ad un clima molto rigido; in preda ad una crisi di nervi si era precipitato a rileggere i manuali: i risultati furono più deludenti che mai e tutto questo lo fece optare per la strategia del buon vecchio vendere cara la pelle, se proprio doveva finire all’altro mondo l’avrebbe fatto con stile.
Frank e Brad lo fecero salire sul tetto della struttura per prendere un elicottero, una volta in volo passò alcune ore a fissare l’interno della cabina, portava un paio di cuffie per attutire il rumore oltre ad avere la possibilità di essere tagliato fuori dai discorsi dei due energumeni: fu uno dei momenti più felici della sua vita, per una volta non doveva essere rinchiuso in un portabagagli con la testa in un sacco e, cosa più importante, non doveva andare in paranoia perché non sentiva parlare di come uccidere qualcuno. Ogni tanto guardava fuori per spezzare un po’ la monotonia del pannello di controllo, tutte quelle luci e lancette che si muovevano a caso lo annoiavano non poco, e quando la sua mente si annoiava il cervello non faceva altro che ripescare momenti casuali del passato che lo mettevano a disagio. Adesso stava ricordando di quando da bambino era andato al compleanno di Lizzie Nowak, aveva poco più di sei anni ma la figura di merda fu eclatante, nel mezzo della festa era scoppiato a piangere perché Lizzie non aveva accettato di diventare la sua amichetta del cuore. Nella sua mente apparvero di nuovo i volti ed i sorrisi degli adulti che parlavano tra di loro mentre sua mamma cercava di calmarlo, Earl infatti aveva avuto la decenza di lasciare la zona dei bambini per andare a piangere in cucina dove un gruppo di mamme spettegolava o si lamentava delle maestre. I pochi padri presenti erano in giardino impegnati con il barbecue. Quella fu l’ultima volta che andò a casa dei Nowak, di Lizzie non seppe più nulla finché non rimase incinta a sedici anni, lei abortì e si trasferì con la famiglia in un altra città. Perso come al solito nei suoi ricordi, in uno stato di dormiveglia, venne fatto scendere dall’elicottero con uno spintone da Brad, all’agente prudevano non poco le mani, aveva chiesto infatti più volte ad Earl di portare il suo culo fuori dall’elicottero.
Sbattuto a terra come un sacco di patate Cooper si rialzò barcollando per accorgersi di essere dentro un enorme hangar, davanti a lui un gruppo eterogeneo di persone stava entrando in una sottospecie di labirinto, Frank e Brad lo portarono vicino un tavolo dove alcuni funzionari militari a volto coperto registrarono il suo arrivo. Completata questa procedura gli indicarono la fila per entrare nel labirinto e lo salutarono con lo stesso calore con cui i genitori vedono partire i figli per il college, avrebbe giurato di aver sentito Frank dire “Guardalo il nostro campione, speriamo che torni presto”. Traumatizzato da una così grande manifestazione d’affetto si diresse verso la fila di persone vestite con la sua stessa divisa. Una volta dentro Earl si trovò in uno spogliatoio comune in cui dovette svestirsi per sottoporsi ad alcune visite mediche: la scena era degna di un documentario sulla Shoah, mancavano solo che gli rasassero i capelli tatuandogli un numero e poi avrebbe potuto fare tutte le battute antisemite che voleva. Contrariamente alle sue previsioni, la visita medica si risolse nella semplice assunzione di misteriosi farmaci dopodiché vennero fatti accomodare a turno nelle docce. Ricevette dei nuovi vestiti che assomigliavano molto alla sua divisa solo che sembrava più una mimetica militare bianca, come se dovessero muoversi in mezzo alla neve, fu proprio allora che si rese conto di non sapere che giorno ma sopratutto che mese fosse. La situazione andò peggiorando quando capì che il resto del labirinto non era altro che un susseguirsi di stanze piene di oggetti necessari per la sopravvivenza estrema; intorno a lui vedeva persone indaffarate nel prendere questo o quell’oggetto mentre altri si allenavano nei modi più disparati. Davanti tutto questo Earl inizio a respirare profondamente per darsi coraggio e trovare la forza per fare qualcosa, l’unico risultato fu quello di andare in iperventilazione mentre prendeva oggetti a casaccio imitando tutto quello che facevano gli altri. Una voce proveniente dagli altoparlanti piazzati in tutto l’hangar lo avvisò di dirigersi verso il punto di estrazione, con il suo grande spirito di iniziativa aspettò che qualcuno si muovesse prima di fare un passo.
La zona di estrazione si trovava in fondo all’hangar dove su un enorme telo venne proiettata la modalità in cui si sarebbe svolta la prova che stava per affrontare, questa infatti consisteva nel sopravvivere con ogni mezzo disponibile per due settimane in una zona montuosa piena di alberi e baite, alla fine una squadra di recupero si sarebbe occupata di prendere tutti i sopravvissuti. L’unica condizione era quella di rimanere all’interno della zona, eventuali sconfinamenti sarebbero stati puniti con l’esclusione dal programma e l’inserimento all’interno della lista dei più ricercati degli Stati Uniti. In effetti quest’ultimo fatto era un ottimo deterrente, sarebbero arrivati nella zona interessata trasportati in piccoli gruppi da vari aerei militari e gli venne permesso di scegliere di scendere direttamente a terra o di lanciarsi con il paracadute; lui optò per la prima opzione senza la minima esitazione, stranamente si sarebbe trovato in una situazione quasi normale, anche se qualcosa non gli tornava, non sapeva dire bene il perché ma era come se tutto stesse andando troppo bene. Non ebbe il tempo di approfondire quest’ultimo pensiero dato che si trovava già a doversi imbarcare su un Fairchild C-123 Provider, nella sua testa partì Fortunate Son. Non voleva impazzire durante il volo e quindi lasciò al suo cervello la libertà di fare quello che voleva, fu così che passo più di tre ore di volo a ricordare della volta in cui durante una partita di basket venne inquadrato dalla Kiss cam con quella che era diventata la sua ex ragazza alla fine del primo quarto. Chissà perché nei ricordi in cui si trovava più a disagio c’era sempre di mezzo una donna, la cosa lo lasciò per un attimo interdetto poi sentì il portellone aprirsi.
L’aereo stava ancora volando vicino quella che sembrava un pista di atterraggio, la cosa stranì decisamente Earl che si guardava intorno per capire quale fosse l’umore generale, all’improvviso un militare a volto coperto urlò a tutti di scendere dall’aereo. Prima di fare qualsiasi movimento tutti quanti si girarono verso l’uomo e questa volta fu molto più persuasivo “Ho detto che dovete portare il culo fuori dal mio cazzo di aereo stronzi!” poi prese la pistola d’ordinanza ed iniziò a sparare ad altezza d’uomo, in una frazione di secondo Cooper si gettò fuori mettendosi in posizione fetale per attutire la caduta. Sopravvissuto sentì come dall’interno dell’areo continuavano a provenire degli spari e, con tutto il sangue freddo che aveva, frenò il suo istinto di mettersi a correre per analizzare meglio la situazione: intorno c’erano altre persone che si contorcevano per il dolore, Earl aveva visto lo stesso tremore quando si trovava nell’arena insieme agli altri stuntman, per loro non c’era niente da fare, tra poco qualsiasi movimento, anche il più impercettibile, si sarebbe arrestato. Quelli che era ancora in vita stavano strisciando molto lentamente verso gli alberi, decise di seguirli ma prima si concesse un’ultima occhiata verso gli altri aerei dove gli spari continuavano mentre molti cercavano di non farsi colpire scendendo con il paracadute. Se lo sarebbero dovuti aspettare, dopotutto questo è il progetto Agent. Strisciò nella boscaglia in cui si era formato un primo gruppetto di sopravvissuti, aspettò insieme a loro che gli aerei se ne andassero; fu un tempo interminabile, finita l’adrenalina iniziale tutti quanti incominciarono ad accorgersi di come dover stare due settimane in montagna e per giunta d’inverno, fosse qualcosa di più di un semplice periodo di sopravvivenza. Gli aerei se ne andarono solo quando il sole iniziò a tramontare, nel frattempo tutti quelli che si trovavano sulla pista di atteggio erano morti o stavano per essere uccisi: subito alcuni si precipitarono a prendere dai cadaveri tutto quello che poteva tornare loro utile, i pochi sfortunati da essere ancora in vita vennero finiti a calci e pugni.
Alcuni gruppetti di sopravvissuti incominciarono a dirigersi verso le varie baite, Earl si accodò ad uno di questi cercando di mascherare il più possibile il dolore che provava alla gamba, durante il tragitto incontrarono i cadaveri di alcuni uomini che si erano lanciati con il paracadute; dalla posizione in cui li trovarono si capiva come non avessero avuto la fortuna di spirare con lo schianto, tra i corpi Cooper notò una donna senza paracadute con il collo visibilmente rotto, qualcosa non andava ma non aveva tempo per fermarsi ad ispezionare la zona. Dopo un paio d’ore arrivarono in una piccola baita, l’edifico era fatiscente e con tutta probabilità il secondo piano era inaccessibile, entrarono tutti dentro spinti dal gelo pungente. Il pavimento era distrutto, le assi di legno sfondate lasciavano intravedere la struttura in cemento armato che faceva da fondamenta per la struttura, nella stanza accanto l’entrata trovarono quello che sarebbe dovuto essere una specie di salone con un camino in mattoni inutilizzato anch’esso da tempo. Rimasero fermi per qualche istante, abbastanza per rendersi conto in che situazione si trovassero: fuori era buio ed il freddo si faceva sentire ogni minuto sempre di più, dovevano accendere un fuoco e dovevano farlo subito. Un uomo lanciò il sacco a pelo in mezzo alla stanza ed aveva esordito dicendo “Dato che dobbiamo rimanere qui due settimane facciamo che io cerco di accendere il fuoco mentre mi presento” detto questo si avvicinò al camino e tolto il passamontagna incominciò a rovistare nel suo zaino “Non vi racconterò la storia della mia vita, non so perché avete deciso di partecipare a questo progetto né mi frega qualcosa del vostro nome, tutto quello che dovete sapere di me è che potete chiamarmi Wild e voglio sopravvivere” l’uomo aveva i capelli grigi e crespi ma il viso era giovane, non doveva essere troppo vecchio. Un altro uomo buttò la sua roba in mezzo alla stanza “Molto bene boy scout anche io voglio sopravvivere, chiamatemi Wayne” poco a poco si presentarono tutti quanti: Light, Spike, Cash, Tj, Buzz, Meg, Snow, Casper, Tes e Soap. Earl avrebbe voluto dare lo stesso nome che aveva usato durante la prima prova del progetto Agent ma non se lo ricordava, decise di scegliere il primo nome esotico ed interessante che gli passò per la testa: Paco, fottuta televisione con i suoi programmi per rincoglioniti. Tutti quanti si girarono verso di lui, chi inarcando un sopracciglio, chi lasciando trapelare tutto il proprio sdegno, solo Wayne fece un commento “Strano, non pensavo che i messicani li facessero così bianchi. Senti nachos la capisci la mia lingua o devo suonartelo con la chitarra?” alcuni risero ma non Soap, lui era ispanico e se prima aveva fulminato Earl con lo sguardo ora stava facendo altrettanto con Wayne. Accesero il fuoco e si divisero le cose da fare: Light e Cash furono mandati a fare il primo turno di guardia, Spike e Casper andarono a cercare di capire se si potesse fare qualcosa per il gruppo elettrogeno della baita, Tj e Soap controllarono il piano superiore in cerca di qualsiasi cosa utile, Tes e Wayne iniziarono un sopralluogo per capire quali sarebbero stati i punti critici da dover riparare o isolare del rifugio, Meg e Snow incominciarono a razionare le provviste mentre lui e Buzz poterono riposare dato che furono scelti per il secondo turno di guardia, Wild faceva da jolly aiutando chi si trovava più in difficoltà.
La notte stava procedendo con tranquillità, Earl aveva il sonno stranamente leggero, il suo turno di guardia era vicino ma uno strano odore gli stava perforando le narici, avrebbe voluto alzarsi e tirare la sua pala da campeggio in faccia all’idiota che esalava quel miasma insopportabile, l’aveva già sentito da qualche parte eppure non ricordava dove. Aprì gli occhi per incominciare a prepararsi quando vide un uomo in mezzo al salone armato di piccozza, urlò a pieni polmoni per avvertire il gruppo e poi fu il caos. Nel disordine generale Earl cercò di aprirsi la strada con la sua pala cavando occhi e menomando arti, si allontanò il più possibile da salone per trovare un posto più isolato dove riorganizzare le idee e sgattaiolò in quella che era stata la cucina della baita. Sentiva il cuore in gola, i muscoli erano tesi e quel fottuto odore non faceva altro che stuprargli le narici, si girò per vedere se c’erano pericoli ma tutto quello che trovò fu il cadavere smembrato di Buzz ancora dentro il sacco a pelo, la scena era orribile: il corpo era stato mutilato in più parti e a giudicare dai segni presenti sul corpo l’uomo aveva cercato di opporre resistenza, lo avevano massacrato senza pietà, uccidendolo come un animale. Earl prese la rincorsa e tornò nel salone dove si avventò su un altro intruso che cercava di pugnalarlo all’addome, quando gli assalitori furono messi in fuga contò di aver ucciso almeno sei persone, ma non era questo il momento di pensarci ora doveva occuparsi della baita e del suo gruppo. Dopo l’attacco della notte precedente all’appello mancavano Cash, Light, Wayne, Snow, Wild e Buzz. Per quest’ultimo non c’era niente da fare, quello che rimaneva di lui stava congelando in cucina; Wayne venne ritrovato con il cranio fracassato sopra un gruppo di corpi, doveva essersene portati molti dietro prima di andarsene; Casper era stata strangolata non lontano dal gruppo elettrogeno e non erano presenti altri segni sul corpo; il corpo di Wild si trovava a poca distanza fuori dalla porta della baita con la schiena ricoperta da coltellate. Di Cash, Snow e Light non c’era alcuna traccia, li avrebbero cercati appena si sarebbe fatto di nuovo giorno, il resto della notte lo passarono a vegliare vicino al fuoco.

Il mattino seguente fecero il punto della situazione cercando di capire come fosse stato possibile l’attacco da parte degli assalitori durante la notte, la cosa che allarmava di più Earl era come non fosse stupito tanto dalla violenza o dalla velocità con cui le persone avevano dimenticato ogni legge morale, ma dal fatto che fossero riusciti quasi a massacrare il suo intero gruppo nonostante ci fossero ben due persone di guardia. Stava cambiando, era forse questo l’istinto di sopravvivenza che il progetto Agent voleva creare in loro? Non c’era tempo per perdersi dietro a questi pensieri, di comune accordo con gli altri decise di andare a cercare Cash e Light, se li avevano traditi c’era bisogno di regolare i conti ma se non era andata così allora non potevano lasciarli in mano a quei bastardi. Uscirono dalla baita e si addentrarono nuovamente nel bosco seguendo le traccie di quello che sembrava essere un gruppo numeroso, qua e la alcune macchie di sangue sporcavano la neve ma non si curarono di questo fatto finché non arrivarono in una radura, davanti a loro si mostrò un orrore inenarrabile: qua e la brandelli di carne e moncherini erano sparsi in modo disordinato, al centro erano stati posizionati sei tronchi a cui erano legati altrettanti cadaveri smembrati, Cash aveva lo sterno infilato in un occhio mentre le costole erano conficcate negli arti. Di Light non c’era nessuna traccia.
TESTO: OBLOQUOR
ILLUSTRAZIONE: Xia
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