THE AGENT#7: CHIMERA
Non era una situazione semplice da affrontare, Earl era addirittura convinto che non fosse minimamente affrontabile dal suo gruppo. Erano tutti stanchi a causa del sonno e dello stress, i cadaveri poi non aiutavano il loro equilibrio mentale, si stavano spingendo verso il limite e con tutta probabilità la maggior parte di loro non avrebbe più fatto ritorno. Si confrontarono un’ultima volta sul da farsi, nessuno voleva lasciare indietro Light, ma ora erano meno convinti su quello che sarebbero stati disposti a sacrificare per salvare la compagna. Abbandonarla non era una scelta facile e loro non erano nelle condizioni di prendere una decisione, Spike ruppe il silenziO “Io dico che dovremmo trovarci un altro posto e continuare a difenderci, se facciamo questa cosa rischiamo di rimetterci e basta” quelle parole colpirono la coscienza di Earl come coltelli affilati, e prima che potesse rendersene conto stava già dicendo di no insieme agli altri. Aveva preso la decisione sbagliata ma all’improvviso sentiva come non sarebbe stato in grado di vivere con se stesso se avesse scelto di pensare solo alla sua sopravvivenza, continuarono a seguire le tracce per tutto il giorno, quando il sole tramontò arrivarono ad un piccolo accampamento di tende sorvegliato da pochi uomini.
Elaborarono il piano d’azione dopo aver studiato velocemente il perimetro: Spike e Tj si sarebbero presi cura delle sentinelle armate, Soap e Tes invece avrebbero creato un diversivo per permettere ad Earl e Meg di trovare Light. Si misero in posizione e dopo aver atteso qualche minuto iniziarono ad avvicinarsi all’accampamento ognuno da un punto diverso. Earl estrasse il coltello da caccia che aveva trovato addosso ad uno degli assalitori, nella sua mente intanto ripassava l’addestramento che aveva ricevuto sul combattimento corpo a corpo; tutto procedeva secondo i piani, lui e Meg erano arrivati in prossimità del posto in cui avrebbero atteso il diversivo. Sentì uno strano rumore metallico, quasi come se qualcuno stesse parlando con un walkie talkie, si fermò un attimo per controllare che non ci fosse nessuno nei paraggi; all’improvviso sentì un sibilo sopra la sua testa, si buttò a terra e cercò riparo tra i cespugli, poi si guardò introno per vedere dove fosse finita Meg ma non la trovò. Doveva avvisare il gruppo che il piano era saltato e doveva farlo alla svelta, ma ormai era troppo tardi, il rumore di alcune raffiche di mitragliatore e le urla di Soap e Tes gli confermarono che non c’era più niente da fare; il piano prevedeva che i vari gruppi si sarebbero dovuti incontrare in una radura a tre chilometri di distanza se le cose si fossero messe male, Earl si diresse molto cautamente verso quel posto, questa volta senza alcun rimorso verso chi era rimasto indietro.
Quando non correva Earl riusciva a percorrere tre chilometri in meno di quarantacinque minuti, questo se voleva prendersela con calma, una volta mentre percorreva in lungo e in largo il cortile di Goldenhope era riuscito a scendere anche sotto la mezz’ora. Ma quella che stava facendo non era certamente una passeggiata di piacere, da un momento all’altro avrebbero potuto sparargli e anche se si muoveva strisciando in mezzo ai cespugli chiunque avrebbe potuto seguirlo se solo avesse osservato con più attenzione la neve. Stava congelando e nonostante avesse venduto anche l’anima per poter correre lontano dall’inferno in cui si trovava, purtroppo sapeva fin troppo bene che non sarebbe stato così semplice; di tanto intanto si incontrava con qualche cadavere, oramai erano diventati degli elementi fissi del paesaggio. Earl aveva perso la cognizione del tempo ed era sempre più sicuro di essersi perso. Sentiva caldo e aveva una gran voglia di levarsi i vestiti, primi segni dell’ipotermia, doveva darsi una mossa o sarebbe rimasto a morire in quel posto dimenticato da Dio. Sentì di nuovo il rumore metallico ma questa volta capì da dove proveniva, si nascose e preparò un nuovo piano per agire di conseguenza. Un’ora dopo arrivò al punto di ritrovò, Spike lo stava aspettando, non si vedevano gli altri membri, doveva mettersi l’anima in pace e andare avanti; uscì dal suo nascondiglio solo quando fu molto vicino al compagno, subito dopo gli saltò addosso tramortendolo con un ramo. Lo legò ad un albero e aspettò che riprendesse i sensi.
Quando Spike riaprì gli occhi incominciò subito con l’interrogatorio “Da quanto tempo va avanti questa storia?” Spike replicò come se nulla fosse “Di che cosa stai parlando? Dai slegami questi giochetti puoi farli con gli altri non con me” Earl lo colpì allo stomaco e riprese a parlare “Stronzo non sei nella condizione di fare domande, ora rispondi o giuro che ti ammazzo” l’uomo lo guardò di sbieco e cominciò a parlare “Amico sei tu quello che non ha capito la situazione qui, se non torno indietro verranno a cercarti, e quando ti troveranno non ti legheranno semplicemente ad un albero” Cooper lo stoppò con un pugno in faccia, poi prese la pistola con il silenziatore che aveva sottratto al compagno mentre era svenuto “Figlio di puttana spiegami questa adesso o quando verranno a cercarti i tuoi amici non troveranno un benamato cazzo“ Spike rise con il naso che perdeva sangue “Paco va a farti fottere, sei un uomo morto e ancora ti ostini a combattere, lo vuoi capire che” Earl sparò in testa all’uomo poi si allontanò guardandosi le spalle di tanto in tanto. Aveva fatto un’altra cazzata, ma era stato quello stronzo a provocarlo; si era fatto di nuovo buio quando le gambe incominciarono a cedergli, decise di nascondersi in mezzo ad alcuni cespugli e passare lì la notte.
Non riuscì a dormire più di due ore di fila, con il sorgere del sole finì ogni minima possibilità di prendere sonno; Earl era distrutto, dubitava di poter reggere un altro giorno ma non poteva fermarsi, sicuramente lo stavano cercando e doveva anche darsi una mossa, altrimenti faceva prima a scavarsi una fossa nel terreno congelato. Gli occhi pulsavano per la stanchezza e tenerli aperti per lunghi periodi li costava una fatica immensa, l’unica cosa che gli impediva di dormire era l’emicrania che da un momento all’altro gli avrebbe fatto esplodere la testa. Camminò per un numero indefinito di chilometri nascondendosi come meglio poteva, una volta che le gambe incominciarono a cedergli di nuovo continuò a zoppicare reggendosi agli alberi. Intorno a lui non si sentiva alcun rumore, questo lo aiutava a sopportare l’emicrania ma sapeva che non sentire rumori in una foresta è tutto meno che qualcosa di positivo, i cadaveri erano diventati sempre meno numerosi, forse qualcuno aveva incominciato a seppellirli o, molto probabilmente, a mangiarli. Il riflesso di un raggio di sole sopra un vetro lo ferì agli occhi, si gettò immediatamente a terra cercando la pistola freneticamente, dopo averla trovata con la mano tremante la puntò nella direzione da cui pensava provenisse il riflesso, la faccia si contrasse in un’espressione di stupore: davanti a lui c’era Tess, seduta in modo innaturale con la schiena appoggiata ad un albero, non poteva crederci.
Si avvicinò alla donna quasi correndo, non gli interessava di essere colpito l’unica cosa che gli importava era capire che cosa fosse successo, stava per salutarla quando si occorse di un’enorme macchia rossa sul vestito di lei; da quello che poteva vedere c’era un’ unico colpo inferto poco al disotto della cassa toracica, dovevano averla presa di sorpresa ma perché Tess era senza equipaggiamento? Tutti i corpi che aveva visto, escluso il primo giorno, avevano sempre qualcosa dell’equipaggiamento: uno zaino semi vuoto, delle corde, attrezzatura da arrampicata o comunque qualcosa che faceva parte del loro kit di sopravvivenza. Il corpo della donna non era stato smembrato e questo escludeva che fosse morta a causa degli assalitori del primo giorno, ma la ferita era anche troppo poco precisa per essere stata inferta da Spike, che al momento a meno di ritorno dal mondo dei morti non era più un problema. Qualcosa non tornava, incominciò ad osservare l’albero a cui era appoggiato il cadavere e notò un corda, questa proseguiva per alcuni metri in avanti per poi interrompersi. Chi aveva ucciso Tess doveva anche aver tagliato la corda da arrampicata che aveva davanti, il capo che ora stringeva tra le mani era ancora sporco di sangue. Nel breve periodo che era stato nei boyscout aveva avuto modo di seguire solo un corso sui pericoli della montagna, non aveva ascoltato niente se non la parte riguardante i crepacci e di quanto fossero difficili da localizzare sopratutto se coperti dalla neve, ricordava di aver passato tutta la lezione a fantasticare su come avrebbe potuto buttarci dentro tutte le persone che gli stavano antipatiche. Non avrebbe mai pensato che il suo unico giorno nei boyscout gli sarebbe tornato utile, quello che aveva davanti non era esattamente un crepaccio ma la pericolosità rimaneva sempre alta, incominciò a scavare nella neve davanti a lui alla ricerca di una possibile entrata appena la trovò si meravigliò di vedere come ci fosse un buco nella roccia di modeste dimensioni, una specie di caverna naturale o roba simile, era poco profondo e al suo interno c’era un altro dei suoi compagni perduti:Snow.
Esaminando i corpi gli parve di capire che i due avevano tradito il gruppo scappando per conto loro, poi qualcuno li aveva trovati mentre cercavano un posto in cui passare il resto della prova, Tess era stata pugnalata mentre Snow si era spaccato la testa mentre scendeva sul fondo del crepaccio dopo che gli avevano tagliato la corda. Delle volte la vita ha proprio dei modi originali per fotterti, Earl avrebbe preferito non scendere ma Snow aveva con se il borsone delle provviste e lui non mangiava da giorni; ci mise tre ore tra scendere, mangiare fino a vomitare, continuare a mangiare, riposare nel sacco a pelo di Snow e risalire con il borsone, ne era valsa la pena. Adesso non gli restava altro che capire quanto tempo ancora avrebbe dovuto passare in mezzo alle montagne congelandosi il culo, si mosse verso alcune baite che avvistò con il binocolo preso in prestito dal cadavere del compagno. Più passava il tempo e più gli parve chiaro come alla fine Diana non era stata proprio una stronza nel non dargli un minimo di addestramento per quella prova, certo forse sapere come mimetizzarsi o come accendere un fuoco gli sarebbe potuto tornare utile ma a conti fatti non si stava muovendo poi così male. Aveva avuto fortuna è vero, però quando c’era stato da scappare era scappato; quando aveva dovuto uccidere aveva ucciso; quando bisognava nascondersi si nascondeva e niente, era ancora vivo. Tutto quello che gli mancava poteva prenderlo dagli altri, morti o vivi che fossero, e adesso si stava dirigendo verso una piccola baita che sembrava non aver ospitato ancora nessuno. Se fosse riuscito a tornare alla struttura forse l’avrebbe ringraziata.
Entrò dentro la baita con apparente disinvoltura, nel polso destro nascondeva il coltello da caccia pronto ad essere lanciato, mentre nella tasca sinistra aveva la pistola carica e pronta a sparare, trovò alcuni cadaveri mentre ispezionava la casa, non c’erano segni di colluttazione; nei giorni in cui aveva incominciato a muoversi da solo gli era parso sempre di più che le persone avessero incominciato a suicidarsi, da un lato la cosa rendeva meno difficile sopravvivere ma l’impatto sull’umore non era tra i migliori. I corpi che aveva davanti erano ancora freschi, se fosse arrivato un giorno prima probabilmente gli avrebbe trovati ancora vivi e forse ci avrebbe pensato lui ad ammazzarli, perché col cazzo che avrebbe condiviso le provviste con loro. Tuttavia non riusciva a non provare una certa pietà per quelle due persone. Prese da loro tutto quello che poteva tornarli utile e bruciò i cadaveri con cui si riscaldò tutto il pomeriggio, non era una buona idea segnalare in questo modo la propria posizione, ma arrivati a questo punto se proprio doveva morire l’avrebbe fatto con il culo al caldo. Il fuoco resse bene fino a dopo il tramonto del sole, fuori era tranquillo ma incominciò a controllare il perimetro della baita di tanto in tanto, giusto per non ricevere sorprese. Dopo tutto quello che aveva passato si stava quasi annoiando, non poteva crederci, aveva iniziato a sparare ai cadaveri partecipando ad un progetto governativo assurdo, si era ritrovato ad ammazzare per difendersi da pazzi psicopatici, aveva recitato in uno snuff movie e, come se non bastasse, aveva avuto tempo anche per scopare più di chiunque in tutto Goldenhope, naturalmente si dovevano escludere gli omosessuali, i disperati che arrivavano alla sodomia e tutti gli altri, ma aveva un buon posizionamento. La vita non faceva più così schifo, però mancava un po’ di azione.

Si voltò verso il fuoco ed incominciò a ricordare le vecchie vacanze di Natale: le cene con i parenti, il giorno del ringraziamento, il tacchino ripieno e le domande del cazzo come “Ma la ragazza?” oppure “Quando ti laurei?”. Dopo tutto non erano dei brutti ricordi, togliendo quella volte che distrusse il servizio centenario della zia Betty; oppure quella in cui diede fuoco all’albero di Natale mentre stava giocando con una candela; oppure ancora quando fece cadere lo zio Alvin nel vialetto tirandogli una palle di neve in un occhio, quello avrebbe potuto evitarlo, non perché aveva fatto qualcosa di sbagliato, zio Alvin era uno stronzo, razzista e in sovrappeso, però passare la vigilia di Natale al pronto soccorso vicino un Babbo Natale con la testa fasciata non era stato il massimo. In effetti a Natale da bambino combinava solo casini, però come si è divertito durante quel periodo non si è divertito più, sul volto apparve un sorriso a denti stretti, alzò il medio verso il fuoco e sussurrò “Vafanculo zio Alvin”. Dopo aver abbandonato tutto e tutti il Natale si era trasformato in quella festa dove i suoi amici non potevano uscire perché stavano con le loro famiglie, quelli che invece restavano liberi durante erano dei rifiuti umani con cui preferiva non avere nulla a che fare; gli ricordavano troppo come prima o poi la vita gli avrebbe chiesto il conto; di come si sarebbe dovuto dare una calmata e trovarsi un posto nel mondo. La cosa lo indispettiva non poco, sopratutto quando a parlare erano le puttane che spompinavano gli agenti per non farsi portate in centrale. Tra un pensiero e l’altro si rese conto di non aver controllato cosa succedeva fuori, prese il binocolo e vide qualcuno che avanzava a passo lento nella neve, si reggeva un braccio e sembrava esausto, controllò quanti colpi gli rimanevano nella pistola e si mise ad aspettare.
Una volta entrano nella baita l’uomo incominciò a guardarsi intorno, si diresse nella stanza in cui Earl aveva acceso il fuoco ed incominciò a scaldarsi, Cooper tolse la sicura appena lo ebbe sotto tiro “Non ti muovere stronzo, che cazzo ci fai qui?” l’uomo provò a girarsi ma Earl lo incalzò “Ho detto non ti muovere se non vuoi che ti apra un faro in testa!” l’uomo allora si fermò e rimase in silenzio per alcuni secondi, poi prese a parlare “Se volevi uccidermi potevi farlo quando mi ha visto dalla finestra, perché mi hai fatto entrare?” Earl aggiustò il tiro “Se permetti qui le domande le faccio io, forse hai qualcosa che mi interessa ma devi giocarti bene le tue carte” il detenuto sentì un risatina nervosa provenire dal suo interlocutore “Sentiamo, di cosa avresti bisogno? ” Earl si avvicinò facendo attenzione a tenere la testa dell’uomo nel mirino “Non così in fretta bello, diciamo che prima voglio che ci conosciamo un po’” l’uomo incominciò a spazientirsi ma non rispose, avvicinandosi aveva notato come stesse perdendo sangue dal braccio sinistro e questo, fino a prova contraria gli garantiva un certo vantaggio, non avrebbe smesso di fare lo stronzo solo per pietà verso il primo ferito che incontrava. Per quello che poteva sapere lui, il tizio che aveva davanti sarebbe potuto essere uno degli amici di Spike. Earl continuò “Adesso girati molto lentamente, prova a fare cazzate e muori” l’uomo si girò continuando a reggersi la ferita “Adesso che mi sono girato possiamo parlare?” Earl aggiustò la mira “Chi ti ha fatto quella ferita?” l’uomo sorrise “Non vuoi sapere neanche come mi chiamo prima?” “Mi ci pulisco il culo con un nome falso, rispondi alla mia domanda o potrei ricredermi e spararti in fronte” “Va bene va bene, mi hanno sparato i militari” Cooper non si scompose “Che tipo di militari?” “Ma che razza di domanda è?” Ealr alzò la voce “Si vedevano i gradi? Di che esercito facevano parte? Sono mercenari? Che tipo di mezzi hanno?” l’uomo rimase basito “Eh… non lo so, io so solo che quei figli di puttana hanno i cecchini e che hanno preso la zona di estrazione” “Quale zona di estrazione?” l’uomo rimase interdetto poi ripose “Quella dove si trova la pista di atterraggio, non hai visto la mappa?” “Quale mappa?” “Andiamo la mappa al punto di estrazione, non dirmi che non ti sei fatto una copia, io ne ho una nello zaino se me lo fai prendere te la pas” Earl interruppe subito l’uomo “Prendi lo zaino e fallo scivolare lentamente verso di me” “E cosa mi dice che dopo non mi spari?” “Puoi solo fidarti di me al momento, se la cosa non ti sta bene sono cazzi tuoi” l’uomo che si muoveva a fatica fece scivolare il suo zaino verso Earl “Adesso posso alzarmi porca di quella” e cadde all’indietro con un foro di proiettile in mezzo agli occhi. Un idiota del genere non poteva trovarsi in un posto come questo senza un fottuto motivo, o almeno era questo quello che aveva pensato Earl dopo averci parlato; la parte del duro gli era uscita proprio bene, ma ora doveva capire se aveva ammazzato un semplice idiota o qualcosa di più.
Perquisì il corpo alla ricerca di microfoni o strumenti simili, trovò un foglio di carta su cui era scarabocchiato qualcosa, probabilmente doveva essere la mappa, nelle tasche c’era una pistola di piccolo calibro ancora carica, del cibo in scatola ed un coltellino svizzero. Passò allo zaino ma non voleva aprirlo, non sapeva se per paranoia o per semplice scaramanzia ma tutti gli zaini o borsoni che aveva visto erano tutti quanti aperti, almeno in parte, in più ora che lo guardava bene c’era qualcosa che non gli tornava: se il tipo che aveva appena ammazzato sembrava uscito da una tormenta di neve lo zaino era quasi del tutto immacolato; come se non bastasse aveva addosso ancora quell’odore di nuovo che penetrava nelle narici di Earl. Lo prese e lo lanciò fuori il più lontano possibile,non era molto pesante, poi andò alla finestra e si mise ad aspettare, credeva che da un momento all’altro arrivassero i militari o la S.W.A.T. come nei suoi incubi, ma non andò così: dopo un paio d’ore avvistò un altro uomo, questo però era tutto ricoperto dalla neve, oltre ad avere un fucile da cecchino nero a tracolla, appena questo vide lo zaino ci si precipitò a tutta velocità; già pensava di aver fatto una cazzata mentre lo osservava con il binocolo quando l’uomo fu investito da una piccola esplosione trasformandosi in una poltiglia rossastra: nello zaino era stato inserito un ordigno artigianale, probabilmente fatto con chiodi o altri oggetti di piccole dimensioni, con l’esplosione si erano dispersi ovunque colpendo qualsiasi cosa nelle vicinanze,almeno questo poteva giustificare lo stato del cadavere. Aveva avuto fortuna, solo per il fatto di averlo preso in mano aveva rischiato di finire all’altro mondo, cazzata il cazzo pensò Earl mentre andava a prendere il fucile di precisione volato ad un paio di metri di distanza dal cadavere. Dalla salma riuscì a recuperare solo quattro caricatori, tutto il resto era stato reso inutilizzabile dall’esplosione.
Tornato dentro la baita incominciò a guardare il foglio scarabocchiato che aveva trovato, non fu difficile orientarsi anche grazie alla varie annotazioni che arricchivano di contenuto il disegno scarno ed approssimativo. Dopo aver decifrato quello che c’era scritto Earl capì che l’uomo era diretto in una zona molto più in alto della sua posizione, avrebbe fatto un piccola tappa per riposarsi nella baita in cui aveva trovato Cooper e sarebbe ripartito il giorno dopo per il punto segnato in rosso sul foglio. Questo significava solo una cosa: doveva capire dove era diretta quella persona e sì, aveva ammazzato un povero stronzo. Radunò le sue cose e si mosse il più velocemente possibile verso la zona indicata sulla mappa. Era veloce e per la prima volta sapeva dove andare, con tutta probabilità era anche uno dei meglio armati in circolazione, guardò di nuovo la mappa e continuò a correre. Percorse quasi quindici chilometri in meno di quattro ore, ma alla fine fu costretto a doversi fermare per riposare. In bocca sentiva il sapore metallico del sangue e la milza stava cercando di uscirgli fuori come un alien, l’aria usciva dalla sua bocca come tante piccole nuvole di condensa; era stanco, la fame gli contorceva lo stomaco ma non voleva mangiare, doveva risparmiare le risorse, non sapeva quanto tempo mancava alla fine della prova, potevano essere due giorni come sei anni. Aveva bisogno di arrivare a quel dannato punto segnato sulla mappa. Nella sua mente aveva immaginato come una volta arrivato a destinazione si sarebbe trovato davanti una specie di bunker usato per chissà quale esperimento andato male, si sarebbe inventato qualcosa per far ripartire il gruppo elettrogeno e poi ci si sarebbe chiuso dentro finché non lo fossero venuti a cercare; anzi ci si sarebbe barricato, quando gli uomini del governo si sarebbero presentati per congratularsi con lui avrebbe preso il suo fucile di precisione e gli avrebbe ammazzati uno dopo l’altro. Già provava mentalmente quello che avrebbe urlato mentre sparava “Crepate stronzi!” oppure era troppo scontato? Si sarebbe dovuto inventare qualcosa di più articolato come “ Ve lo do io il programma sperimentale, bastardi!” , più andava avanti più la sua mente correva sempre più velocemente ed incominciò a pensare a frasi da film come “Hasta la vista baby!”. Una volta fatti fuori tutti quanti sarebbe tornato a Goldenhope, dove avrebbe confessato i suoi sentimenti ad Annie ed avrebbero scopato in biblioteca, proprio sotto il cartello con la scritta: si prega di fare silenzio. Sarebbero scappati in qualche paradiso tropicale dove nessuno li avrebbe cercati, lui sarebbe divento un barman mentre Annie una ballerina di latino americana, avrebbero passato le loro giornata così, senza bisogno di nessuno, al caldo.

Quando si svegliò capì di essere svenuto in mezzo alla neve e, cosa peggiore, la sensazione di calore che aveva provato poco prima non era dovuta all’ipotermia ma al fatto che si era pisciato addosso. Arrivato al limite cercò di mangiare una scatoletta di tonno sottolio con scarsi risultati, i pantaloni bagnati dall’urina si erano congelati intorno alla zona dell’inguine e questo rendeva alquanto scomodo camminare con il ghiaccio penetratogli fin dentro le palle; tremando come non mai, riprese in mano la mappa e la guardò di nuovo, questa volta però da una prospettiva diversa, quella giusta: si rese conto di aver camminato per più di quindici chilometri nella direzione sbagliata, il punto segnato in rosso sulla mappa corrispondeva alla baita che aveva lasciato qualche ora prima. Ora che si stava facendo buio lui si trovava a mezza giornata di cammino dal posto più sicuro che avesse mai trovato in tutta la prova. Earl non aveva mai creduto molto in Dio o in qualsiasi forma di religione, ma per la prima volta in tutta la sua vita gli sembrò di essere stato colpito da qualche tipo di giustizia ancestrale, il fatto che non conoscesse parole per offendere quel dio o quegli dei che avevano permesso tutto questo lo lasciava in uno strano stato a metà tra la rabbia e l’odio. Risolse mandando a fanculo la luna, una volta era stato con una che pratica la religione wicca, da quel poco che si ricordava, la luna aveva un qualche significato molto importante per quel credo.
Quando il governo mandò un elicottero per riprendere i sopravvissuti Earl si era trincerato da un paio di giorni nella zona di estrazione, aveva finito i caricatori e i viveri, ci vollero sei uomini per tenerlo fermo e metterlo sull’aereo per l’estrazione. A quella prova sopravvissero solo ventisette persone ed Earl non era neanche uno dei peggiori, in aereo alcuni candidati vincitori dopo essersi liberati dalle imbracature, incominciarono a spaccarsi la testa con i braccioli delle poltroncine a cui erano stati legati. Dopo quello spiacevole evento i selezionati rimanenti vennero sottoposti a sedazione profonda.
TESTO: OBLOQUOR
ILLUSTRAZIONE: Marty Ross
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